Competizione per l'energia
in Asia centrale

07/12/2009

4 dicembre 2009   Il primo dicembre 2009 l’Uzbekistan si è ritirato dal Sistema Elettrico Unificato - la griglia energetica di Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan – a causa di una disputa con il Tagikistan, accusato di “rubare” energia elettrica dalla rete comune. L’Asia centrale è solita a questo tipo di dispute: nel 2003, per una motivazione analoga, anche il Turkmenistan si era già ritirato dal Sistema Elettrico Unificato.   La geografia della regione   Il vastissimo territorio dell’Asia centrale – circa due milioni e mezzo di metri quadri – presenta una conformazione particolare. Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan sono caratterizzati da steppe e deserti, mentre il Tagikistan e il Kirghizistan sono prevalentemente montuosi. L’intera regione non ha accesso al mare e non vi sono fiumi navigabili. Proprio a causa della sua conformazione, l’Asia centrale presenta pochissime terre coltivabili ed è quindi scarsamente popolata – 60 milioni di abitanti, poco più di tre persone per km quadrato.     Una delle poche aree fertili e pianeggianti è la valle di Fergana, che si estende attraverso Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan, ma a causa del clima torrido necessita di moltissima acqua per l’irrigazione. La valle di Fergana inoltre è popolata da diversi gruppi etnici ed è quindi ad alto rischio di conflitto.   Le risorse naturali   L’Asia centrale è tuttavia ricchissima di risorse naturali, specialmente di gas e petrolio. La maggior parte del petrolio si trova in Kazakistan, le cui riserve ammontano a circa 30 miliardi di barili. Il Kazakistan è l’11° paese al mondo per produzione di petrolio. Uzbekistan e Turkmenistan invece sono poveri di petrolio, ma possiedono grandi riserve di gas naturale – entrambi rientrano fra i primi venti paesi più ricchi di gas al mondo. La produzione di gas rappresenta circa il 15% del PIL dell’Uzbekistan e il 50% del PIL del Turkmenistan.   Entrambi i paesi sono collegati alla rete di trasporto e distribuzione di epoca sovietica, perciò quasi tutto il gas estratto viene inviato in Russia.    Kirghizistan e Tagikistan invece non possiedono né gas né petrolio, ma possono contare su una preziosa risorsa naturale: l’acqua. I due principali fiumi, l’Amu Darya e il Syr Darya, alimentano diverse centrali idroelettriche, la cui produzione soddisfa circa il 95% dei consumi interni – il resto dell’energia viene importata dal vicino Uzbekistan. Kirghizistan e Tagikistan, grazie alla loro posizione geografica, di fatto controllano il flusso di acqua che prosegue negli altri paesi della regione.   A causa della distribuzione ineguale delle risorse,  Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan sono strettamente legati l’uno all’altro – il gas uzbeko viene spedito verso i suoi vicini orientali, che in cambio gli garantiscono libero accesso alle risorse idriche. In passato sono sorte numerose dispute perché non ci sono abbastanza risorse per soddisfare le esigenze energetiche di tutti i paesi – ad esempio sono frequenti i black-out in Kirghizistan e in Tagikistan, specialmente durante l’inverno, poiché non c’è abbastanza energia per alimentare gli impianti di riscaldamento di entrambi i paesi.     Rimedi alla penuria d’energia   Per molti anni Kirghizistan e Tagikistan si sono ripromessi di costruire nuove centrali idroelettriche per supplire alla mancanza di energia elettrica e svincolarsi dall’Uzbekistan, ma finora non è stato possibile per varie ragioni. Innanzitutto Bishkek e Dushanbe non dispongono di abbastanza denaro per finanziare i progetti, e in secondo luogo Tashkent si oppone alla costruzione di nuove dighe perché causerebbero una riduzione drastica del flusso d’acqua - circa il 90% dell’acqua che raggiunge l’Uzbekistan viene impiegata per l’irrigazione dei campi e per soddisfare i bisogni della popolazione. Inoltre gli impianti idroelettrici, le riserve e i canali del Tagikistan e del Kirghizistan sono di epoca sovietica e quindi decisamente obsoleti - basti considerare che circa il 70% dell’acqua utilizzata per l’irrigazione viene regolarmente sprecata. Il problema è estremamente grave: il Mare d’Aral, in cui si gettano i due fiumi, si sta prosciugando a grande velocità e secondo alcune stime potrebbe prosciugarsi entro dieci anni.   È piuttosto improbabile che i paesi dell’Asia centrale riescano a trovare un accordo definitivo sulla gestione delle risorse senza l’intervento di una mano esterna. L’unica potenza regionale che ha ancora il potere di intervenire sulle dispute fra i vari stati e decidere come risolverle è la Russia, anche se negli ultimi anni la sua influenza è stata erosa dalla presenza di nuovi attori in Asia centrale – soprattutto dalla Cina, che non vede l’ora di mettere le mani sulle risorse energetiche della regione.      Nuovi attori in Asia centrale   Mosca controlla ancora l’industria energetica dei paesi dell’Asia centrale, ma nell’ultimo periodo una serie di eventi ha favorito l’ingresso di nuovi attori nel mercato energetico locale.   L’inverno scorso la Russia ha interrotto i rifornimenti di gas diretti in Ucraina per quasi un mese, colpendo indirettamente quasi tutta l’Europa. Bloccando le esportazioni  la Russia è stata inevitabilmente costretta a diminuire le importazioni di gas dai paesi dell’Asia centrale per non avere un’eccedenza di gas negli impianti. Ad aprile Mosca ha diminuito notevolmente le importazioni di gas dal Turkmenistan. Dato che le esportazioni di gas rappresentano circa il 50% del PIL turkmeno, Ashgabat ha immediatamente cercato alternative, stringendo prima un accordo con l’Iran per raddoppiare le esportazioni entro la fine dell’anno, e rivolgendosi poi alla Cina, desiderosa di stringere nuovi accordi per l’energia. Il 15 dicembre dovrebbe entrare in funzione un nuovo gasdotto che trasporterà il gas dal Turkmenistan alla Cina passando attraverso Uzbekistan e Kazakistan.    Per ora Mosca non ha motivo di preoccuparsi molto, dato che né la Cina né l’Iran hanno la forza di espandere la loro influenza in Asia centrale. La Russia infatti mantiene tuttora legami con gli eserciti e le intelligence delle repubbliche centrasiatiche, oltre a forti legami economici. Inoltre quasi tutte le condutture turkmene sono di proprietà russa, e quindi Ashgabat non può fare nulla senza l’approvazione del Cremlino.   Equilibri regionali   L’Uzbekistan e il Kazakistan trarranno beneficio dal nuovo gasdotto che collega Turkmenistan e Cina in quanto applicheranno una tariffa di transito che, oltre a rimpinguare le casse dei rispettivi stati, aumenterà anche il loro peso geopolitico nella regione. Nonostante i suoi legami con la Cina, il Kazakistan non rappresenta una minaccia per il Cremlino, dal momento che il primo dicembre 2010 entrerà a far parte di un’unione doganale con Russia e Bielorussia, intensificando l’interdipendenza economica.  L’Uzbekistan invece è senza dubbio il paese più indipendente dell’Asia centrale: in primis è autosufficiente dal punto di vista alimentare ed energetico e poi, grazie alla sua posizione geografica (esattamente al centro dell’Asia centrale) può proiettare la propria influenza in ciascuno degli stati limitrofi. Tuttavia Tashkent dipende ancora da Mosca per quanto riguarda la produzione di cibo e di energia elettrica e difficilmente potrà svincolarsi in tempi brevi.   Per ora gli equilibri sembrano stabili, ma con la crescente competizione per il controllo delle risorse energetiche – sia fra le singole repubbliche centrasiatiche che fra le potenze esterne – la lotta si farà senz’altro più agguerrita in futuro.     A cura di Davide Meinero      

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