La militanza islamica in Pakistan
e gli attacchi alle moschee Ahmadiyyane a Lahore

31/05/2010

Fonte: Pakistan Security Research Unit, Brief number 58, 31 maggio 2010

 

Venerdì 28 maggio 2010 le milizie del terrorismo islamico hanno attaccato la setta Ahmadiyya Jama’at colpendo a distanza di pochi minuti la moschea di Model Town e quella di Garhi Shahu nella parte orientale di Lahore in Pakistan. Due squadre di terroristi armati hanno fatto irruzione nelle moschee durante la preghiera del venerdì uccidendo almeno 100 persone e ferendone altrettante.

La Ahmadiyya Jama’at è un movimento religioso nato in ambito islamico, fondato nel 1889 a Ludhiana in India da Mirza Ghulam Ahmad (1835-1908).  Il fondatore era considerato il masih-i-mawud (il messia atteso) e il mujaddid (il riformatore atteso), ma veniva anche considerato il mahdi per i mussulmani, il messia per i cristiani, una manifestazione di Krishna per gli indù, e un profeta per tutti.  

Alla sua morte una ramo della setta si allontanò, formando il movimento Ahamdiyya Anjuman Isha’at at-i-Islam Lahore. Gli Ahmadiyyani di Lahore sono circa 30.000 e si differenziano dalla setta madre in quanto rinnegano la natura profetica del fondatore.

Il movimento Ahmadiyya Jama’at si considera il vero Islam nato per riunire tutti i mussulmani sotto il motto “Amore per tutti, odio per nessuno”. Oggi è un movimento internazionale che conta circa 12 milioni di fedeli negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Europa, Indonesia e Nigeria, di cui 286.000 solo in Pakistan. Anche se le credenze e le pratiche di questa setta si allineano all’Islam sunnita, alcuni insegnamenti sono considerati eretici e blasfemi dai mussulmani. Gli Ahmadiyyani sono considerati dei kuffar, non credenti e condannati come apostati ed eretici.

Gli insegnamenti del movimento Ahamdiyya riconoscono dei profeti minori, subordinati, venuti dopo la morte di Maometto, mentre la dottrina islamica vede in Maometto l’ultimo e più importante profeta, il sigillo della rivelazione. Il movimento, che basa i suoi insegnamenti sul principio coranico “rifiuta fermamente la violenza e qualsiasi forma di terrorismo per qualsiasi ragione”, presenta il jihad come dottrina della difesa sostenendo che jihad bil qalam, il jihad della penna, deve sostituire jihad bi saif, il jihad della spada. Secondo la Ahmadiyya Jama’at il jihad che si traduce in azioni violente altro non è che un assassinio nel nome di Allah.

Per questo dal 1953  i seguaci di questa setta subiscono continue discriminazioni e limitazioni dei propri diritti. In Pakistan dal 1983  non possono più organizzare conferenze pubbliche o dibattiti, non possono avere il passaporto e per avere accesso al voto o accedere all’università devono firmare una dichiarazione in cui riconoscono Maometto come ultimo profeta.  Il governo discrimina costantemente i membri della setta impedendogli l’accesso agli incarichi pubblici e governativi.

Anche se i membri del movimento Ahmadiyya Jama’at sono stati vittime di una persecuzione continua è la prima volta che vengono attaccati in modo coordinato. L’ultimo attacco alle moschee rivela che il problema del terrorismo pachistano sta  ulteriormente degenerando, visto che i militanti islamici cercano obbiettivi civili come la setta Ahmadiyya. Obbiettivi civili in un paese dove il governo e i mussulmani in generale rifiutano di vedere il movimento come appartenente all’Islam, e dove le autorità si dimostrano riluttanti o incapaci a offrire protezione. Un anno fa la Commissione per i Diritti Umani del Pakistan aveva avvisato il governo che le moschee Ahmadiyyane potevano essere obbiettivi sensibili per i terroristi. Non è difficile comprendere come mai le richieste di protezione siano state totalmente ignorate in un paese dove la maggioranza mussulmana, comprese le forze dell’ordine e i capi del governo, considerano gli Ahmadiyyani degli eretici. Questi attacchi hanno portato alla luce la posizione ambigua del governo in materia di libertà religiosa: da un lato si proclama democratico, ma dall’altra nega i principali diritti umani a gruppi come gli Ahmaddyani, i Cristiani, i Sikhs e gli Indù.

 

A cura di Emanuela Borgnino

 

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