La minaccia islamista
in Asia centrale

04/10/2010

4 ottobre 2010 

Il 19 settembre 2010 nella valle di Rasht un gruppo di miliziani del Movimento Islamico dell’Uzbekistan (Islamic Movement of Uzbekistan, IMU) ha teso un’imboscata a un convoglio militare tagico che stava rastrellando il territorio alla ricerca dei 25 jihadisti evasi dal carcere di Dushanbe il 24 agosto scorso, e ha ucciso 25 soldati.

L’Asia centrale, che comprende Kirghizistan, Kazakistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan, è ricca di catene montuose che raggiungono anche i 7.000 metri; l’unica parte pianeggiante è la valle di Fergana, dove vive la maggior parte della popolazione. Alla fine degli anni ’30 Stalin ridisegnò i confini dividendo la valle fra Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan per erodere la loro indipendenza: Tashkent controlla la porzione più grande, Dushanbe la parte occidentale e Bishkek gli altipiani sui lati della valle (vedi mappa).

I miliziani sono soliti rifugiarsi nella valle di Rasht, una regione remota e difficile da pattugliare, da cui riescono ad attraversare il confine con il Kirghizistan.


I gruppi islamisti.

Dopo il crollo dell’URSS sono nati numerosi gruppi jihadisti:

1)    l’Islamic Renaissance Party (IRP): il primo partito ad essere riconosciuto dall’Unione Sovietica nel ’90, è stato bandito nel 1992 dall’Asia centrale per attività sovversive;

2)    l’Islamic Revival Party of Tagikistan (IRPT): l’ala tagika dell’IRP, ha partecipato attivamente alla guerra civile che ha infiammato il paese fra il 1992 e il 1997 prima di deporre le armi;

3)    United Tajik Opposition (UTO): un gruppo di organizzazioni che hanno combattuto contro il governo tagiko sostenuto da Mosca durante la guerra civile;

4)    Hizb ut-Tahrir: fondato a Gerusalemme est nel 1953, ha sede in Uzbekistan ed è presente in oltre 40 paesi. Si tratta di un’organizzazione estremista che mira a instaurare il califfato universale;

5)    Islamic Movement of Uzbekistan (IMU): creato nel 1998, è un gruppo jihadista che intrattiene legami con al Qaeda e i Talebani afgani e mira a instaurare lo stato islamico in Uzbekistan;

6)    Islamic Jihad Union/Group (IJU): è un’ala staccatasi dall’IMU presente anche in Europa –  seppur limitatamente;

7)    Movement for the Islamic Revival of Uzbekistan (MIRU): nato nel 1994, ha aderito all’IMU nel 1998;

8)    East Turkistan Islamic Movement (ETIM), si batte per l’indipendenza dello Xinjang, in Cina, e intrattiene legami con l’IMU;

9)    L’Islamic Movement of Turkistan, intrattiene legami con l’IMU.

  L’Islam in Asia centrale

Storicamente la maggior parte della popolazione dell’Asia centrale era di religione sufista, una versione moderata dell’Islam, anche se c’era una minoranza salafita (wahabita) più conservatrice. Il regime comunista represse duramente il sufismo prendendo di mira moschee e madrasse e arrestando i leader religiosi. Dopo il crollo dell’URSS i Salafiti approfittarono del vuoto religioso per imporsi sulla scena centrasiatica, forti anche degli aiuti provenienti dai gruppi jihadisti transnazionali. 

  Le divisioni in seno ai militanti.

L’Asia centrale è un calderone di etnie e tribù (Tagiki, Kirghisi, Turkmeni, Kazaki, Uiguri) con diverse lingue e diversi costumi, il che ha finora impedito la nascita di un movimento islamista unitario.

La violenza in Asia centrale tende a propagarsi da uno stato all’altro piuttosto facilmente: in passato l’Uzbekistan ha represso i movimenti islamisti con il pugno di ferro, ma è tuttora vulnerabile, data l’instabilità dei vicini Tagikistan e Kirghizistan.

Con il ritiro delle truppe dall’Afghanistan il rischio di ‘talebanizzazione’ dell’Asia centrale si fa più concreto. Per questo i paesi della regione hanno iniziato a guardarsi intorno alla ricerca di un protettore e si sono rivolti al Cremlino: Kirghizistan e Tagikistan sono pronti ad accogliere 25.000 soldati russi per proteggersi. 

Mosca ha approfittato della situazione per consolidare l’egemonia nella regione: il 24 settembre scorso una delegazione militare russa ha firmato un accordo con la controparte kirghisa per creare una struttura di comando unificata in Russia che interesserà la base aerea di Kant e i centri di ricerca sismica e navale dell’Issyk-Kol e Jalal Abad. Tuttavia il Cremlino, alle prese con i ribelli islamisti del Caucaso, non ha intenzione di aprire un nuovo fronte in Asia centrale ed eviterà – almeno per ora – di affrontare direttamente i jihadisti.

A cura di Davide Meinero

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