Gli Arabi si ribellano all'ingiustizia

28/02/2011

Intervista a Bernard Lewis di David Horowitz, dal Jerusalem Post del 25 febbraio 2011

Lo storico Bernard Lewis, uno dei più influenti studiosi dell’Islam e del Medio Oriente, parla delle attuali rivolte mediorientali a casa dell’ambasciatore statunitense in Israele, James Cunningham. Ecco l’intervista.

L’attuale ondata di proteste nella regione indica che le masse arabe vogliono la democrazia? Che cosa dovremmo aspettarci ora?

Le masse arabe sicuramente vogliono un cambiamento, soprattutto per migliorare le proprie condizioni di vita. Ma andrei cauto a parlare di democrazia. Che cosa significa democrazia? […] È un concetto politico che non ha storia nel mondo arabo-islamico. In Occidente di solito teniamo molto alle elezioni, che sono considerate la più grande espressione della democrazia, il culmine di un processo di democratizzazione. Sicuramente è il culmine di un processo che  può avere molte incognite. Anche in Germania l’idea di democrazia nel periodo fra le due guerre non era ben chiara, e Hitler andò al potere dopo elezioni libere e trasparenti. Noi Occidentali tendiamo a pensare alla democrazia secondo i nostri parametri – com’è giusto che sia […] ma credo che sia un errore applicare gli stessi al Medio Oriente – anche perché le conseguenze potrebbero essere disastrose. Il Medio Oriente non è ancora pronto per elezioni libere e trasparenti.

Una delle esperienze più toccanti della mia vita avvenne nel 1950, quando ero in Turchia. Allora il governo in carica perse le elezioni e quindi lasciò il potere alle opposizioni. Ciò che accadde in seguito fu catastrofico: Adnan Menderes, il leader del partito che vinse le elezioni, dichiarò presto di non avere intenzione di cedere il potere, anche in caso di sconfitta, e che per lui le elezioni non avevano alcun valore. […] E non fu un caso isolato. […] Per questo dico che la maggior parte dei paesi della regione non è preparata alle elezioni.

A quanto pare in Egitto le elezioni dovrebbero tenersi a settembre, e l’Occidente sembra spingere in questa direzione. Che cosa ne pensa?

 
Anche in questo caso ci andrei cauto. Se si terranno libere elezioni - sempre che ciò accada per davvero – i partiti religiosi saranno senz’altro in vantaggio. Primo, possono contare su una rete di comunicazione efficace e capillare – le moschee – che nessun altro partito può eguagliare. Secondo, usano un linguaggio semplice e conosciuto ai più. Il linguaggio della democrazia occidentale è recente, e tuttora sconosciuto alle grandi masse arabe. […] Sarebbe meglio introdurre la democrazia gradualmente, introducendo istituzioni di autogoverno locali. Esiste una lunga tradizione in tal senso nella regione: analizzando la storia del Medio Oriente nel periodo islamico e la letteratura politica mediorientale si coglie subito il rifiuto verso governi assolutisti e autoritari. La parola più utilizzata è ‘consultazione’. C’è un passaggio interessante nel resoconto di un ambasciatore francese recatosi in visita dal sultano prima della Rivoluzione Francese. L’ambasciatore doveva negoziare su alcune faccende per conto della monarchia francese, ma le trattative andavano a rilento. Quando Parigi riprese l’ambasciatore invitandolo ad accelerare sui tempi, questi gli rispose: “Qui le cose non vanno come in Francia, dove il re è il monarca assoluto e fa ciò che gli pare. Il sultano deve prima consultare tutti gli alti funzionari, gli ex ufficiali, i mercanti, i rappresentanti delle arti e dei mestieri e tutti gli altri gruppi.” Si tratta di un importantissimo documento, che spiega molto della realtà mediorientale: il sultano d’abitudine consultava i gruppi più importanti – proprietari terrieri, burocrati, scribi, etc. – prima di prendere decisioni importanti. Si potrebbe partire da qui ancora oggi per arrivare poi a un governo libero e democratico.

E quindi che cosa dovrebbero fare l’America e il mondo libero, e quali possibilità hanno di influenzare l’attuale processo?

Io mi concentrerei soprattutto su quali messaggi NON mandare. Ad esempio non insisterei troppo sull’idea delle elezioni. L’idea che le elezioni siano una panacea per tutti i problemi è pericolosa e potrebbe avere effetti disastrosi. Credo che dovremmo invece avviare consultazioni con i vari gruppi proprio come sta accadendo in Iraq al momento.

Tutti gli analisti sostengono che i manifestanti chiedono elezioni immediate per cambiare la situazione. Non sarebbe un po’ troppo arrogante da parte dell’Occidente schierarsi contro il processo elettorale?

Tutti vogliono mandare a casa gli attuali tiranni, ma non hanno un’idea precisa di quello che dovrebbe venire dopo. Anche i sondaggi sono altalenanti, danno i Fratelli Musulmani a volte al 20%, a volte al 30% e anche al 40%! Non è facile fare previsioni: le persone non sempre dicono la verità quando sono intervistate.

Si sentono moltissimi punti di vista sui Fratelli Musulmani: alcuni li considerano un movimento positivo e ormai secolarizzato, altri un gruppo radicale nonché una terribile minaccia alla pace e alla stabilità. Lei come li giudica?

Chi afferma che sono secolarizzati, pecca di ignoranza. Io ritengo che siano estremisti e per questo pericolosissimi: se ottenessero il potere, le conseguenze per l’Egitto sarebbero terribili. Il paese precipiterebbe di nuovo nel Medioevo. […]

Ricordiamoci che il totale delle esportazioni dell’intero mondo arabo – ad eccezione dei combustibili fossili – è inferiore a quello della piccola Finlandia. Prima o poi l’età del petrolio finirà, il prezioso oro nero terminerà oppure verrà sostituito da altre fonti di energia, e i paesi arabi si ritroveranno con niente in mano. In uno scenario simile i paesi nordafricani potrebbero precipitare a un livello di povertà sub-sahariana.

È possibile trovare un filo conduttore nelle proteste che si sono diffuse rapidamente nei vari paesi? Possiamo trarre conclusioni di carattere generale?

Le proteste sono tutte animate da rabbia e risentimento […] per diverse ragioni. Innanzitutto c’è la consapevolezza – ottenuta grazie ai moderni mezzi di comunicazione – della diversità fra i loro paesi e gli altri paesi in giro per il mondo. Già non è facile essere poveri, ma il risentimento diventa intollerabile se sai che gli altri intorno a te stanno decisamente meglio. E poi c’è l’aspetto sessuale: nel mondo islamico non esiste il sesso occasionale libero come in Occidente. Se un ragazzo arabo vuole avere rapporti sessuali, ha soltanto due possibilità: sposarsi o andare nelle case chiuse. Vi sono sempre più giovani che non possono permettersi né un matrimonio né rapporti sessuali a pagamento, e quindi si sentono sempre più frustrati. Per questo alcuni giovani sono attratti dall’idea del terrorismo suicida, per il ricco premio che li aspetta dopo il martirio: un paradiso di vergini.

Lei si è stupito della facilità con cui i leader di Egitto e Tunisia sono stati mandati via? Crede che anche in altri paesi questo possa avvenire?

Mi aspettavo un’esplosione di questo tipo in Medio Oriente, ma non credevo che gli eventi si sarebbero svolti così rapidamente come in Egitto. Ma non è ancora finita: in molti paesi, infatti, i regimi al potere si trovano in grave difficoltà. In Siria per ora non vi sono segni di ribellioneperché il regime è più crudele. In Iran la situazione è diversa, ma ci vuole molto coraggio ad andare in strada a manifestare quando è chiaro che il regime è pronto a usare ogni mezzo a disposizione per mantenere il potere. […] In Iran i movimenti di opposizione sono molto forti, anche se il regime è repressivo. I segnali che giungono dall’Iran sono chiari: il regime è piuttosto impopolare. Vi sono due opposizioni: una contro il regime e una dentro il regime. Con un aiuto esterno sarebbe forse possibile ottenere dei risultati.[…]

Un aiuto dall’esterno? È una mossa pericolosa. Se l’aiuto è troppo esplicito, può essere sbandierato dal regime per condannare gli Occidentali e reprimere ancora più duramente le proteste. Come si può aiutare la popolazione mediorientale a rovesciare i regimi al potere?

Ad esempio alimentando campagne di informazione contro il regime. Non è una cosa difficile. Ci sono moltissimi Iraniani nel mondo occidentale, specialmente negli Stati Uniti, che contribuirebbero attivamente, e vista l’efficienza dei moderni mezzi di informazione non sarebbe difficile raggiungere i destinatari in Iran. I segnali che arrivano dall’Iran sono chiari. Quando gli Americani invasero l’Iraq, molti Iraniani scrissero e-mail o telefonarono dicendo: “Avreste dovuto affrontare i problemi in ordine alfabetico!”

Ci dica qualcosa sulla natura delle masse arabe, sulla loro religione e sul ruolo dell’Islam nel mondo mediorientale.

Vede, qui sono accadute due cose distinte: primo, la condizione degli Arabi è andata peggiorando negli anni; secondo, la consapevolezza di ciò si è fatta molto più concreta […] Grazie ai mezzi di comunicazione moderni ora è possibile capire quello che accade altrove, e gli Arabi non devono guardare molto lontano: ho molti amici nei paesi arabi che guardano la TV israeliana e le loro reazioni sono sbalorditive. Un esempio: per caso vidi un servizio in TV che mostrava come un poliziotto israeliano aveva spezzato un braccio a un giovane manifestante arabo durante una manifestazione. Ebbene, il manifestante era in TV a denunciare la brutalità della polizia israeliana. Vidi il servizio ad Amman, e accanto a me c’era un Iracheno scappato dall’Iraq di Saddam Hussein che disse: ‘Mi lascerei volentieri spezzare le braccia e entrambe le gambe da Saddam se solo potessi parlare così in televisione.’

C’è un punto da chiarire ancora. Non capiamo il contrasto fra le centinaia di migliaia di Egiziani che scendono in strada chiedendo libertà e giustizia e i sondaggi che invece testimoniano che gli Egiziani mostrano poco rispetto per i diritti umani, sono addirittura favorevoli a punizioni tremende per adulterio, omosessualità e così via.

Non è facile comprendere che cosa vogliano gli Arabi. È più semplice capire contro chi combattono. Gli Arabi si battono contro le attuali tirannie non solo perché repressive, ma soprattutto perché disonorano il loro nome, la loro nazione e la loro religione. Vogliono qualche cosa di meglio, ma non è facile dare una definizione di ‘meglio’. Normalmente non parlano di democrazia parlamentare e libere elezioni, perché non fa parte del loro discorso politico. Di solito però fanno riferimento alla religione, ma non necessariamente a quella dei Fratelli Musulmani. Esiste, infatti, una tradizione diversa, come ho detto prima, che si basa sull’idea delle consultazioni.

Quanto è importante la tradizione islamica moderata? Quante sono le possibilità che prevalga? Glielo chiedo ancora perché sono in molti ad affermare che i Fratelli Musulmani in fondo potrebbero avere un influsso benevolo.

Sinceramente non capisco come si possa avere un’idea simile. […] Vi sono diverse correnti nel mondo islamico che si rifanno al un passato glorioso e vedono il mondo in termini diversi. Oggi si discute di nuovo di consultazioni, perché fa parte della tradizione. I regimi autoritari e dittatoriali che governano la maggior parte dei paesi mediorientali sono un’invenzione moderna. I regimi pre-moderni erano molto più aperti e tolleranti. […] Un ufficiale inglese di nome Slade descrisse molto bene la situazione, facendo un paragone fra passato e presente. Slade scrisse: “nel vecchio ordine la nobiltà viveva grazie alle proprie terre. Nel nuovo ordine è lo stato stesso ad essere diventato la terra della nuova nobiltà”.

Quindi dopo la parentesi dei regimi moderni e dittatoriali sarà possibile creare un’intesa fra il mondo occidentale e i paesi arabi?

Nella storia gli Arabi hanno considerato l’ipotesi di allearsi con potenze straniere soltanto quando si sono sentiti minacciati da qualcuno di ancora più forte. Sadat firmò la pace non perché fosse convinto dei meriti della causa sionista, ma per evitare che l’Egitto diventasse una colonia dei Sovietici. Sadat capì […] che Israele in fondo era il male minore, specialmente se paragonato alla Russia sovietica. E ovviamente aveva ragione. E questo tipo di valutazione non è rara. Ad esempio durante la seconda guerra del Libano (2006) gli Arabi tifavano (seppur a bassa voce) per Israele sperando che eliminasse Hezbollah. Per questo furono molto delusi quando capirono che non ce l’avrebbe fatta. […] La gente parla dell’imperialismo americano come un pericolo. È assurdo. Coloro che parlano di imperialismo americano in Medio Oriente o non capiscono niente dell’America, o non capiscono niente dell’imperialismo. Si può parlare di imperialismo americano soltanto quando le 13 colonie iniziali si espansero nell’America del Nord sottomettendo le altre regioni. Ma nel caso del Medio Oriente è un concetto assurdo. Prendiamo in considerazione alcuni casi classici di imperialismo: quando i Romani andarono in Inghilterra 2000 anni fa, o quando gli Inglesi sottomisero l’India 300 ani fa, non pensavano di certo a una exit strategy.

Qual è secondo lei la più grande minaccia mediorientale al momento?

Secondo me, la Repubblica Islamica. Gli Arabi hanno paura di quello che potremmo chiamare ‘imperialismo iraniano’. La tensione fra Sunniti e Sciiti varia molto da paese a paese. In paesi come Iraq e Siria, dove vivono sia Sciiti che Sunniti, gli scontri sono frequenti e condizionano la vita politica del paese. Al contrario in paesi come l’Egitto, dove non vi sono Sciiti, è un fattore di minor importanza. Gli Egiziani non temono la minaccia sciita. Quando uno pensa al futuro del Medio Oriente deve tenere a mente un altro gruppo: le donne. […] Credo infatti che l’arretratezza del mondo islamico rispetto all’Occidente stia proprio nel modo in cui vengono trattate le donne. Se ricordo bene, il problema venne sollevato per la prima volta nel 1880 da uno scrittore turco di nome Namik Kamal che scrisse: “Che cosa è andato storto? Perché siamo rimasti indietro? Il motivo va ricercato nel modo in cui trattiamo le donne. Il mondo islamico si continua a privarsi del talento e delle qualità di metà della popolazione, e inoltre affida l’istruzione dell’altra metà a madri ignoranti e oppresse.”.

Ma non è tutto: un bambino che cresce in una famiglia islamica tradizionale è abituato a modi autoritari. Credo che la questione femminile sia di importanza cruciale. Ed è per questo che guardo con interesse alla Tunisia, dove l’istruzione scolastica è obbligatoria per le donne. In Tunisia le donne svolgono cariche importanti ovunque – sono dottoresse, avvocate, giornaliste, politiche, e così va. […] Prima o poi questo si estenderà anche ad altre parti del mondo islamico.

L’Arabia Saudita non è stata interessata dalle attuali rivolte. Perché? La situazione potrebbe cambiare?

Al momento le prospettive di cambiamento sono piuttosto esigue, ma prima o poi l’attuale monarchia esaurirà la propria forza vitale e il cambiamento sarà improvviso e repentino.

Israele teme che i disordini contagino anche la Giordania e i Territori Palestinesi, e che questo abbia ripercussioni sulla propria sicurezza. Che cosa ne pensa?

Israele ha ragione a preoccuparsi. Fino a poco fa avrei detto che la monarchia hascemita era al sicuro. Fino a poco tempo fa andavo in Giordania tutti gli anni, e non ho mai avuto dubbi sulla popolarità del regime. I membri della famiglia reale viaggiavano da soli in giro per la città sulla loro auto, senza sentirsi mai nemmeno lontanamente in pericolo, a volte fra i saluti e i baci della gente. Ma ora le cose potrebbero cambiare. È comunque presto per capire se il recente rimpasto di governo basterà a calmare gli animi della popolazione.

Per quanto riguarda il fronte palestinese, non vi sono state proteste contro il regime a Gaza, ma in Cisgiordania le richieste di elezioni si sono moltiplicate. Che cosa potrebbe accadere?

Io non credo che le elezioni siano la soluzione ai problemi, anzi, potrebbero essere un’ulteriore aggravante. Le elezioni sono peculiari del sistema politico occidentale, non sono sempre adatte alla realtà mediorientale. […]

Due settimane fa ho intervistato Natan Sharansky.  Ha dichiarato di appoggiare le attuali manifestazioni per la libertà, ma poi ha aggiunto che l’equazione ‘elezioni uguale libertà’ non è sempre valida. La sua ricetta è:andare avanti a piccoli passi nella direzione delle democrazie occidentali. Di fatto Sharansky sosteneva che ci vuole tempo e che occorre creare un ambiente in cui i vari partiti possano crescere – in modo da non lasciare tutto lo spazio ai Fratelli Musulmani – occorre un’informazione trasparente, e soprattutto un clima in cui la popolazione non teme di essere perseguitata per aver espresso liberamente le proprie intenzioni di voto. Mi è sembrato molto interessante, ma anche molto occidentale. Secondo lei è una visione che non tiene in considerazione le differenze fra Occidente e mondo islamico?

In Occidente si parla sempre di libertà. Nel mondo islamico il termine ‘libertà’ non fa parte del lessico politico. È un termine legale: libertà opposta a schiavitù. Fino a poco tempo fa la schiavitù era accettata nel mondo islamico, e si era liberi quando non si era più in stato di schiavitù. Il termine ‘libertà’ si riferiva dunque alla sfera legale e sociale, ma non aveva implicazioni politiche. […] Secondo i Musulmani, il governo deve essere giusto, il contrasto non è fra libertà o servitù, ma fra giustizia e oppressione. […] Se uno tiene a mente questo, tutto appare molto più chiaro.

Quindi secondo la sua diagnosi gli Arabi stanno manifestando tutta la loro rabbia contro l’ingiustizia?

Esatto, contro la corruzione e l’oppressione– entrambe forme di ingiustizia.

E quindi se i regimi non fossero stati corrotti non sarebbero stati presi di mira?

Esatto.

Questo mi fa pensare alle manifestazioni in Iran dopo le elezioni del 2009, quando i risultati vennero annunciati prima ancora della chiusura dei seggi…

Gli Iraniani si sono sentiti presi in giro. Occorre quindi sempre tenere a mente i concetti di ‘giustizia’ e ‘ ingiustizia’ nel mondo islamico, perché aiuta a capire meglio i processi mentali e quindi politici nel mondo islamico.

Anche Israele, come tutti gli altri, è stato colto di sorpresa. Come dovrebbe rispondere alle attuali proteste?

Dovrebbe mantenere un profilo basso e tendere la mano in caso di necessità. Nel mondo arabo sono sempre più numerose le persone che osservano con interesse e meraviglia come funziona una società aperta e libera come quella israeliana. Poco tempo fa ho letto un articolo di un arabo palestinese che affermava: ‘Per come vanno le cose al momento, la miglior prospettiva per un cittadino arabo è di essere un cittadino di serie B nello stato ebraico’. Si tratta di un’affermazione forte, ma piuttosto realistica. È una visione che sta prendendo piede, e molti lo dichiarerebbero apertamente se fosse possibile. Vi sono due fattori che potrebbero portare a un miglioramento delle relazioni fra Arabi e Israeliani: primo, la paura di un nemico comune. Sadat, infatti, si rivolse a Israele per paura dei Russi. […] L’altro, forse più importante, è proprio l’attrattiva che la società israeliana, libera e democratica, aperta alle donne, esercita sui popoli circostanti – punto da non sottovalutare, vista la posizione delle donne nel mondo arabo. E in entrambi i casi non mancano segnali incoraggianti per il futuro.

Traduzione: Davide Meinero

 

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