La riluttanza della Giordania
a interferire in Siria

23/04/2012

 

Amman è sotto pressione da parte dei membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che la esortano a opporsi più nettamente al regime siriano e sostenere i ribelli. 

Per la sua posizione sia geografica sia politica la Giordania rappresenta la via più logica attraverso cui far giungere rifornimenti e armi ai ribelli in Siria. La circolazione di persone e merci attraverso il confine giordano-siriano è agevolata dalla presenza di reti tribali, religiose e commerciali che si estendono a cavallo della frontiera. La cooperazione della Giordania permetterebbe all’Arabia Saudita di estendere il proprio raggio d’azione al di fuori del Golfo e proiettare la propria influenza nel Levante, contrastando l‘influenza dell’Iran in Siria, nel Libano meridionale e, attraverso Hamas e altri gruppi, sui Palestinesi. Ma i Giordani temono che i Sauditi facciano del loro paese il campo di battaglia di una guerra per procura contro l’Iran. 

I rapporti tra Siria e Giordania si incrinarono nel 1958, quando il partito iracheno Baath, fratello del Baath siriano, rovesciò la monarchia hashemita irachena con un sanguinoso colpo di stato, uccidendo la maggior parte dei membri della famiglia reale. Inoltre  negli anni ’60 e ’70, lo stato baathista siriano sostenne le azioni dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) contro la Giordania. La Giordania considera la Siria come un regno hashemita mancato, mentre la Siria considera Amman e dintorni come parte della  Grande Siria  dell’epoca imperiale. 

Però l’attuale regime siriano si è rivelato utile per la Giordania, e non solo.  Innanzitutto ha contribuito a tenere sotto controllo la crescita degli islamisti nella regione. La Giordania  ha all’interno  un crescente movimento dei Fratelli Musulmani che reclama riforme politiche. I disordini che si avranno in Siria alla dissoluzione del regime alawita si estenderanno quasi certamente anche alla Giordania. Se la monarchia giordana dovesse cadere, potrebbe prodursi un effetto domino in Arabia Saudita e nelle altre monarchie che fanno parte del Consiglio di Cooperazione del Golfo.

Perciò finora il sostegno giordano alla rivolta siriana è stato  quasi soltanto  retorico. Le agenzie di intelligence giordane  sono però molto attive nel seguire  la situazione sul terreno in Siria e forniscono informazioni preziose sia agli  occidentali sia  ai paesi del Golfo. Così come la Turchia, la Giordania è diventata una meta per i rifugiati e i combattenti feriti e per gli ufficiali dell’Esercito Siriano Libero. Ma non sembra probabile che la Giordania sostenga apertamente gli sforzi per indebolire il regime, a meno che non abbia inizio una credibile campagna militare internazionale contro la Siria.

Amman potrebbe subire gravi ritorsioni e sostenesse una ribellione che fallisce. I Giordani ancora ricordano  che i Siriani inviarono forze corazzate in Giordania  per sostenere l’OLP a settembre 1970 (settembre nero). Allora il re di Giordania Hussein fu salvato dall’assistenza degli Stati Uniti e del Regno Unito.

Ma il rischio maggiore è che, se cade il regime siriano, la rivolta si estenda anche alla Giordania. I jihadisti siriani e quelli giordani potrebbero unire le forze. Un’insurrezione islamista in Giordania potrebbe innescare la reazione di Israele,  spezzando la collaborazione strategica fra i due paesi. 

Il re giordano è dunque impegnato in un difficile esercizio di equilibrismo: collabora con tutti, ma senza esplicitamente favorire nessuno.  

 

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