Turchia: la politica di transizione
di Erdogan

10/07/2012

Negli anni al governo il partito Giustizia e Sviluppo ha cercato di sviluppare l’economia e di ridurre l’influenza dell’esercito sulla politica. Ora il premier Erdogan vorrebbe consolidare il potere all’interno e dedicarsi alla politica regionale, specialmente ora che si intravede l’esito della primavera araba. Questo richiede una prospettiva di continuità nell’esercizio de potere. Con le leggi vigenti Erdogan nel 2015 non potrà più presentarsi alle elezioni parlamentari né ricoprire cariche politiche pubbliche. Per continuare a plasmare la politica turca, il partito vuole ora trasformare l’attuale sistema parlamentare in un sistema presidenziale che permetta ai leader di Giustizia e Sviluppo di candidarsi di nuovo alle massime cariche dello stato.

Se Erdogan riuscirà nel suo intento, potrà candidarsi alla presidenza della repubblica due mandati – e in caso di vittoria rimanere al potere fino al 2025. Poiché è stato eletto nel 2003, questo significherebbe gestire il potere per 22 anni!

Se i partiti di opposizione si opporranno alla riforma, Erdogan potrebbe ricorrere all’arma del referendum per emendare la costituzione, dato che per  indire un referendum basta una maggioranza di 330 parlamentari. 

Erdogan ha avviato una politica di corteggiamento dell’opposizione: il 6 giugno ad Ankara ha incontrato Kemal Kilicdaroglu, leader del Partito Repubblicano del Popolo. I due hanno deciso di organizzare una commissione che si occuperà della questione curda, il che lascia intendere che forse i due potrebbero giungere a un compromesso. Ma l’altro principale partito di opposizione – il Partito del Movimento Nazionalista – ha rifiutato di partecipare alla commissione.

Erdogan  spera  anche di ricucire la ferita in seno al movimento gulenista: il 15 giugno ha invitato il fondatore del movimento, Fetullah Gulen, a rientrare in patria. Inoltre ha deciso di sciogliere le corti speciali, che potranno terminare i processi in corso, ma non potranno iniziarne di nuovi. Le corti speciali sono servite a intimidire e processare elementi dell’esercito, dissidenti curdi, miliziani, sindaci delle città curde. Con questa mossa Erdogan spera ora di riconquistare la fiducia dell’esercito e di blandire i Curdi.

La minoranza curda, che conta circa 14 milioni di individui (su un totale di 74 milioni di Turchi), è sempre stata in conflitto con le autorità turche. I Curdi sono divisi al loro interno lungo linee tribali, ma alle ultime elezioni i partiti nazionalisti hanno ottenuto molti più voti del solito.

Erdogan utilizza ancora il pugno di ferro con il PKK (Partito dei Lavoratori Curdo), che continua a organizzare attentati contro obiettivi governativi.  Ankara ha anche accusato la Siria di offrire appoggio ai ribelli Curdi. Ma in segno di riconciliazione Erdogan ha recentemente incontrato i leader nazionalisti  della comunità curda e ha promesso loro che la lingua curda diverrà materia facoltativa di studio nelle scuole pubbliche – un piccolo gesto simbolico per riconoscere la cultura e l’identità curda.

 

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