Chavez
e le difficoltà economiche del Venezuela

10/01/2013

Le condizioni del presidente venezuelano Hugo Chavez sono peggiorate tanto da far pensare a una morte imminente. In questo caso il potere passerebbe nelle mani del presidente dell’assemblea nazionale, Diosdado Cabello, che avrebbe il compito di indire nuove elezioni entro 30 giorni. Il favorito nella prossima corsa presidenziale è il vice presidente Nicolas Maduro, incoronato leader del Partito Socialista Unito del Venezuela da Chavez stesso.

Il paese che si appresta a lasciare Chavez versa in condizioni disastrose.

L’economia del paese si regge sulle esportazioni di petrolio, che nel 2011 sono state pari al 93% dell’export totale (10% in più rispetto al 2001) e al 23% del PIL. Il Venezuela ha la seconda più grande riserva di petrolio al mondo, e sin dall’inizio del XX secolo i governi hanno investito tutte le risorse disponibili nello sviluppo dell’industria petrolifera trascurando gli altri settori, che sono rimasti arretrati.

Da quando Chavez è andato al potere nel 1999, il controllo del settore petrolifero è stato gradualmente affidato allo stato e l’azienda petrolifera statale Petroleos de Venezuela (PDVSA) è diventata strumento politico nelle mani del presidente, che usa gli introiti per elargire contributi pubblici alle regioni più povere del paese e ai  gruppi amici.

La produzione agricola interna non è sufficiente a soddisfare il fabbisogno interno, perciò Caracas è costretta a importare cibo dall’estero (soprattutto da USA, Canada e Argentina). Il 50% del mais e il 100% del grano consumato provengono dall’estero. Ma per acquistare beni alimentari sul mercato internazionale occorre pagare in dollari; la banca centrale venezuelana e le agenzie intergovernative, nonostante i proventi di PDVSA, non ne hanno a sufficienza, perché nessuno è disposto a vendere dollari in cambio di bolivar al tasso ufficiale di cambio, molto più alto del vero valore di mercato. Per questo i privati sono spesso costretti ad acquistare dollari sul mercato nero a prezzi molto più alti. Perciò alcuni importatori ‘nascondono’ una parte del cibo importato per rivenderla sul mercato nero a prezzi maggiorati rispetto ai prezzi imposti per legge.

Il tasso di inflazione dei prezzi al consumo è altissimo: 31,3% sui generi alimentari – rispetto a una media del 24,6%. Il calmiere imposto dal governo su alcuni prodotti alimentari si è rivelato inefficace se non dannoso: i produttori sarebbero costretti a  operare in perdita vendendo sul mercato ufficiale, perciò o la vendono sul  mercato nero o preferiscono non vendere affatto.

L’aumento esponenziale della spesa pubblica e l’offerta limitata di prodotti hanno aumentato le spinte inflazionistiche e svuotato le casse dello stato. Il governo ha deciso di ricorrere a due escamotage per dar temporaneo respiro alle casse dello stato:

1)   ha aumentato l’impegno di forniture di petrolio alla Cina come garanzia per ottenere prestiti fino a 8 miliardi di dollari – rispetto ai 4 miliardi pattuiti in precedenza;

2)   ha effettuato un collocamento privato, destinato a pochi investitori istituzionali, di bond di PDVSA denominati in dollari, per un valore di $1 miliardo, attraverso la banca centrale del Venezuela. Cioè ha ipotecato i futuri redditi di PDVSA due volte: una volta con obbligazioni, una volta con il pegno del contratto di future forniture.

La stessa PDVSA è in crisi: dopo il tentato colpo di stato del 2002, organizzato anche da impiegati dell’azienda petrolifera, Chavez licenziò i migliori tecnici e assunse elementi di fiducia, raddoppiando il personale. Da allora la produzione è calata da 3,5 milioni a 2,4 barili al giorno, soprattutto a causa dei mancati investimenti. Anche gli impianti di distribuzione di energia elettrica sono così malridotti che i black-out  sono frequenti anche nella capitale.

L’equilibrio economico del Venezuela è precario: per salvare la situazione il nuovo leader dovrà svalutare la moneta o tagliare drasticamente la spesa, provocando quasi certamente reazioni negative fra la popolazione.

Il Venezuela ha un disperato bisogno di attrarre investimenti esteri per ammodernare l’industria energetica e sviluppare i giacimenti di petrolio. Ma la linea politica del presidente Chavez e le sue frequenti nazionalizzazioni hanno scoraggiato gli investitori negli ultimi anni, e non sarà facile ripristinare un clima di fiducia in tempi brevi.

A cura di Davide Meinero

 

Lascia un commento

Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!

Accedi

Non sei ancora registrato?

Registrati

I vostri commenti

Per questo articolo non sono presenti commenti.