Iraq: reazione sunnita
contro al-Maliki

14/01/2013

Le eccessive pressioni del primo ministro iracheno Nouri al-Maliki per consolidare il proprio potere hanno innescato una reazione da parte della minoranza sunnita del paese, obbligando alla difensiva la comunità sciita al potere. 

Il tentativo del governo di emarginare gli avversari utilizzando leggi anti-terrorismo ha scatenato nelle ultime settimane una rivolta nelle aree sunnite, contemporanea alla una ribellione armata sunnita in Siria. Entrambe queste situazioni indeboliscono il regime di Baghdad, riportando l’iniziativa nelle mani dei sunniti. Questo fa saltare la strategia iraniana di controllare l’Iraq gestendo l’equilibrio fra le varie fazioni sciite.

Dall’approvazione della nuova costituzione nel 2005 il paese ha visto due elezioni, entrambe vinte dalla maggioranza sciita, ed è stato governato da al-Maliki. In sostanza il nuovo sistema non ha ancora registrato nessun trasferimento di potere. Questo fa apparire  lo Stato iracheno piuttosto fragile.

Al-Maliki ha perseguito due obbiettivi: in primis rendere impossibile ai sunniti, che storicamente hanno detenuto il potere nel moderno stato-nazione iracheno,  di  tornare ad avere il controllo politico.  Il secondo, mantenere la sua coalizione ben salda,  al di sopra delle divisioni etniche  e settarie.  Dal punto di vista di al-Maliki, il primo obbiettivo non può essere realizzato senza il secondo.  Perciò ha cercato d’indebolire gli avversari in parlamento e ha assunto competenze ben oltre i limiti costituzionali.  Ha preso fra l’altro anche  il controllo del settore difensivo ed energetico.

 Alle ultime elezioni nel marzo 2010 il partito di al Maliki ‘lo Stato di Diritto’ è arrivato secondo, con due seggi in meno del partito al-Iraqiya dell'ex primo ministro ad interim Iyad Allawi - perché la maggior parte dei sunniti hanno sostenuto il partito di Allawi. Al-Maliki è riuscito a mantenere il potere soltanto fondendo lo ‘Stato di Diritto’ con l’Alleanza nazionale irachena, altro gruppo sciita. Al-Maliki ha evitato il confronto con al-Iraqiya fino alla partenza delle truppe americane a fine 2011. Il giorno dopo il ritiro militare statunitense ha accusato il vice presidente Tariq al-Hashemi, il più alto ufficiale sunnita, di tramare attacchi terroristici su larga scala nel paese e ha ordinato l'arresto di molti membri della sua sicurezza.

Prima di andare in esilio al-Hashemi ha trovato rifugio nella regione autonoma del Kurdistan, dove è rimasto (spostandosi spesso in Turchia) dopo la sua condanna a morte in contumacia da parte dell’Iraq. L’asilo dato ad Hashemi ha esacerbato i rapporti tra gli sciiti e i curdi, che ora disputano al governo centrale il controllo di Kirkuk, al centro di una regione ricca di risorse energetiche. Al-Maliki sta dunque combattendo contemporaneamente con sunniti e curdi, con gran dispiacere sia degli alleati iracheni sciiti che dei sostenitori iraniani.

All’inizio del 2012 anche il partito sciita di al-Sadr ha minacciato di allinearsi con i curdi e i sunniti in un voto di sfiducia nei confronti del Presidente del Consiglio. Ma nell'interesse della più ampia comunità sciita non ha portato avanti il suo piano. Neppure i curdi condividono la politica di al-Maliki, perché la volontà di al-Maliki di creare un forte stato centralizzato cozza con il desiderio curdo di maggiore autonomia. Ma anche i Curdi accettano al-Maliki pur di non rischiare di dare il potere ai sunniti.

Al-Maliki ha fatto male i calcoli quando ha perseguito il proprio ministro delle finanze, Rafi al-Issawi. Il 19 dicembre ha iniziato ad arrestare i membri del servizio di sicurezza di al-Issawi accusandoli di terrorismo. Al-Issawi proviene da una tribù di spicco di Fallujah - il centro della rivolta sunnita dal 2003 al 2007 - così sono iniziate proteste da parte della comunità sunnita, che hanno messo in difficoltà in governo. l  sunniti hanno trovato il coraggio di chiedere elezioni anticipate – un’opzione che può essere la via d'uscita dalla crisi. Ma le elezioni potrebbero accentuare le divisioni etniche e produrre un governo spezzato.

L'Iran è ben consapevole della posta in gioco. Teheran si sforza di mantenere la propria influenza nella Siria post-al Assad e non può perdere terreno anche in Iraq. Gli iraniani vorrebbero  mantenere la compattezza della roccaforte sciita, messa in pericolo dalla politica di al-Maliki. Tuttavia le possibilità che l'Iran riesca a gestire la situazione sono poche. In Iraq il rischio di un conflitto settario, che riduca anche l’influenza dell’Iran, è tutt’altro che trascurabile. 

 

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