I negoziati con l'Iran? Un errore.
Parola della Resistenza Iraniana

11/03/2014

I Mojahedin criticano severamente Obama e la sua politica di accondiscendenza. “La Repubblica Islamica è debole, stroncata dalle sanzioni internazionali” dice uno dei capi, “ha deciso di trattare perché allo stremo delle forze, è obbligata a sedersi al tavolo dei negoziati. L’elezione di Rohani è una messa in scena: le elezioni sono palesemente manipolate e il principio stesso del velayat e-faqih inserito nell’attuale costituzione iraniana sancisce il potere assoluto del leader supremo (attualmente Ali Khamenei), nonché l’obbligo per ogni candidato di giurare fedeltà al sistema teocratico. Ergo, indipendentemente dal presidente eletto, la natura del regime non cambia. Perché l’Occidente, e gli USA in primis, vogliono negoziare? Perché proprio ora che il regime è alle corde?”

Secondo la Resistenza, l’Iran degli ayatollah è la maggiore minaccia alla stabilità regionale. “Come è pensabile che il principale esportatore di terrorismo nella regione e nel mondo cambi la propria politica in maniera così repentina? La verità è un’altra: la Repubblica Islamica non ha intenzione di rinunciare al nucleare, prende semplicemente tempo per curare le ferite, ottenere un allentamento delle sanzioni e agganciare la ripresa.”

Sul fronte interno, non si è visto alcun segnale di riforma “democratica”, al contrario le impiccagioni continuano senza tregua.Un calo della repressione favorirebbe la nascita di movimenti spontanei di piazza, e il regime non può permettersi di affrontare una tale minaccia” spiegano i Mojahedin. ‘’Il regime ha represso con difficoltà le rivolte scoppiate dopo le elezioni dei 2009 e non vuole che si ripeta nulla del genere. La società iraniana è giovane (oltre il 60% della popolazione è al di sotto dei 30 anni), moderna, vivace, ma è costretta a vivere sotto un regime medioevale e repressivo che toglie ogni speranza nel futuro’.

Il giudizio è chiaro: “Negando il sostegno alle manifestazioni anti-regime, Obama ha tolto le speranze a migliaia di giovani dissidenti, uomini e donne, che vogliono libertà e democrazia.” 

La situazione internazionale non sembra volgere a favore della Resistenza. Nel contesto degli attuali negoziati fra i 5+1 e l’Iran, i Mojahedin sono merce di scambio: gli ayatollah chiedono l’eliminazione degli oppositori in esilio. Gli attacchi, l’assedio e i ritardi nell’espatrio rispondono a una logica precisa: tenere sotto scacco un manipolo di civili inermi per soffocarne ogni capacità di opposizione. Ma né gli USA né l’Europa paiono interessarsene. Dopo due lunghe guerre, l’amministrazione Obama vuole ritirarsi dal Medio Oriente. Per loro l’Iran non è un vicino, dunque non è un pericolo diretto. L’Europa, divisa e in piena crisi economica, è del tutto assente dalla scena internazionale.

Indipendentemente dall’esito dei negoziati, i dissidenti iraniani di Camp Hurriya sono nell’occhio del ciclone e costantemente in pericolo di vita. Soltanto il loro rapido trasferimento in Europa potrà scongiurare una tragica fine. 

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