Come stanno
le banche italiane?

26/03/2014

Nelle prossime settimane l'Autorità Bancaria Europea condurrà stress test sulle banche europee – i risultati saranno disponibili entro ottobre. Entro la fine dell'anno la Banca Centrale Europea riceverà anche i risultati dei prossimi controlli di qualità degli attivi bancari. La BCE vuole concludere entrambe le valutazioni per poi assumere, alla fine del 2014, la supervisione delle principali banche dell'eurozona, prima fase della creazione dell'Unione Bancaria Europea.

La Banca d'Italia ha esortato le banche italiane a mettere in ordine i bilanci, raccogliere investimenti e rimpolpare il capitale. Secondo la Banca d'Italia i crediti in sofferenza delle banche italiane – cioè i crediti la cui riscossione non è certa – hanno raggiunto quota 160,4 miliardi di euro a gennaio, pari al 15% di tutti i crediti al consumo. Meno che nei paesi dell'Europa Orientale − come la Romania, dove i crediti in sofferenza rappresentano il 22% del totale − ma più che in Spagna (14%). Gli stati misurano ancora i crediti in sofferenza in modi diversi, quindi le statistiche potrebbero essere fuorvianti.

I due terzi dei crediti tossici sono delle cinque maggiori banche italiane. Nei bilanci di Intesa Sanpaolo e UniCredit Spa ci sono rispettivamente 55 e 47 miliardi di euro di crediti in sofferenza. Nel 2013 Monte dei Paschi di Siena, terzo gruppo bancario italiano per numero di filiali, è stato salvato con denaro pubblico, dopo lo scandalo del presunto uso di derivati per nascondere il dissesto causato dall'acquisizione − a prezzi folli − di Antonveneta. UniCredit e Monte dei Paschi di Siena hanno registrato perdite significative anche nell’ultimo trimestre del 2013.

Diversi analisti stimano che le banche italiane avranno bisogno dai 15 ai 25 miliardi di euro per ricapitalizzarsi. Le cinque principali banche hanno bisogno di nuovi capitali per un totale di 7 miliardi di euro. Intesa Sanpaolo e UniCredit hanno concluso un accordo con l'americana KKR & Co. LP, operatore internazionale di private equity. Intesa sta costituendo una bad bank interna in cui convogliare i crediti anomali, mentre UniCredit ha venduto i suoi debiti tossici a Cerberus Capital Management LP e a AnaCap Financial Partners LLP.

Le prospettive per le banche minori sono peggiori. Per un'economia che non cresce da più di dieci anni, in Italia ci sono troppe banche: circa 700, che danno lavoro a 310 000 persone in 33000 filiali. Nel Regno Unito, che ha un paio di milioni di abitanti in più rispetto all'Italia, le banche sono la metà. La maggior parte delle banche italiane sono profondamente legate al territorio, finanziano piccole imprese e famiglie e sono molto vicine a politici e sindacati. È un modello che difficilmente resisterà alla crisi e dovrà essere modificato.

Nelle banche più piccole i crediti in sofferenza sono presenti in quantità superiore alla media nazionale e la copertura del rischio è troppo bassa (tabella a lato). È un sistema di notevole fragilità.

Il debito delle famiglie italiane è cresciuto negli anni successivi all'introduzione dell'euro, passando dal 33% del reddito disponibile lordo nel 1998 al 74% nel 2012. Rimane comunque inferiore alla media dell'eurozona, che si attesta al 109%. In Italia è anche maggiore la percentuale dei proprietari di casa (circa il 70%, rispetto alla media dell'eurozona del 60%) e il debito ipotecario è relativamente basso.

Le banche concedono sempre meno crediti alle famiglie: le banche hanno paura a concedere credito e le famiglie hanno paura a spendere. E l'economia soffre.

La crisi ha colpito duramente le imprese italiane, in particolare le PMI (Piccole Medie Imprese). Secondo la Banca d'Italia, i crediti alle imprese sono diminuiti di circa il 5% annuo nel 2012 e 2013. La recessione ha ulteriormente peggiorato la situazione. La redditività è in calo da anni e sempre più imprese chiudono i battenti. I settori più in crisi sono l'edilizia e l'immobiliare, che risentono anche della mancanza di investimenti. Il governo ha autorizzato una moratoria dei debiti delle PMI nel 2009, 2012 e 2013. Così i problemi si rimandano, ma non si risolvono.

Il pericolo per la stabilità delle banche italiane non sono tanto le famiglie, quanto le PMI. Nei prossimi anni è prevedibile che alcune banche minori chiuderanno o verranno incorporate da altri istituti. Succederà come in Spagna, dove il settore bancario è stato drasticamente ridimensionato dall'inizio della crisi, passando da 50 a 12 banche tra il 2009 e il 2013.

Il processo non sarà facile. Il settore bancario italiano è un complicato sistema di interconnessioni tra cooperative, fondazioni no-profit, sindacati, politici locali e azionisti privati, che contrasterà a oltranza le riforme. Probabilmente il governo dovrà intervenire, incoraggiando fusioni e fornendo assistenza finanziaria.

Le banche italiane devono anche fare i conti con le perdite delle loro filiali all'estero, soprattutto in Est Europa: in Ungheria, Slovenia (e ora l'Ucraina). Le banche spagnole invece si sono espanse in Sud America, non nell’est Europa, e registrano buoni profitti all’estero.

I rendimenti obbligazionari sono drasticamente calati dal novembre 2011, quando l'Italia era sull'orlo del default, perché la BCE ha fornito alle banche liquidità a basso costo. Con questa liquidità le banche italiane comprano debito pubblico italiano ed evitano di aumentare il credito al settore privato, se pare poco affidabile. Nei portafogli delle banche italiane si trovano attualmente bond italiani per circa 400 miliardi di euro, più del doppio rispetto alla fine del 2011. È positivo per le banche, ma negativo per l'economia italiana, perché il credito va tutto allo stato, anziché alle imprese e alle famiglie. Inoltre il fatto che le banche si basino sul debito italiano le rende vulnerabili alle frequenti crisi politiche del Bel Paese.

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