Lo scontro fra islamisti e conservatori
determinerà il futuro del Medio Oriente

29/05/2014

Dalla metà del XX secolo il Medio Oriente ha visto l’ascesa e il declino di diverse potenze.

Fra il 1950 e il 1960 era certamente l’Egitto del carismatico Gamal Nasser a detenere il ruolo di paese guida nella regione. Con la sconfitta dell’Egitto da parte di Israele nella Guerra dei Sei Giorni (1967), la morte di Nasser e l’ascesa dei paesi produttori di petrolio dopo la guerra del Kippur (1973), il testimone passò nelle mani dei paesi del Golfo, in particolare all’Arabia Saudita, grazie anche all’alleanza con gli USA. Per la prima volta fu chiaro che il controllo del petrolio era la chiave per l’egemonia politica nella regione. Con la firma degli accordi di Oslo del 1990 fra Israeliani e Palestinesi e degli accordi di pace fra Israele e Giordania nel 1994, Israele divenne l’attore più influente nel panorama mediorientale. Iniziò una (breve) fase di cooperazione/integrazione economica nella regione che ebbe fine con l’omicidio di Yitzakh Rabin. L’intervento degli USA in Iraq nel 2003 causò il crollo del regime di Saddam inaugurando un periodo di guerra civile di cui non si vede la fine. La diffusione del settarismo ha incrementato l'instabilità in tutta la regione. In tutta la regione i regimi andati al potere negli anni ‘50-‘60 con la decolonizzazione si stanno sbriciolando (o si sono sbriciolati) sotto il peso della corruzione che ha mandato in fumo lo spirito egalitario dei primi rivoluzionari – es. Libia, Egitto, Tunisia, Siria. La Primavera Araba ha aggravato ulteriormente la situazione mettendo sotto pressione le monarchie del Golfo e creando il caos nell’immediata periferia di Israele.

Attualmente in Medio Oriente possiamo individuare fondamentalmente due grandi gruppi di paesi con scopi e obiettivi opposti:

Il fronte "islamista”: Iran, Qatar, Turchia e movimenti come i Fratelli Musulmani, che vorrebbero islamizzare la regione e che godono di un’organizzata rete mediatica;

il fronte dei paesi “conservatori” del Golfo, come le monarchie di Kuwait ed Emirati Arabi Uniti e la stessa Arabia Saudita, appoggiate da Egitto, Israele e Giordania, che percepiscono i movimenti islamisti come una minaccia al loro potere.

L’esito dello scontro per l’egemonia regionale fra questi due “blocchi” dipende da più fattori:

1. dall’evoluzione politica dell’Egitto. Con una popolazione di circa 90 milioni di persone e una storia millenaria, è stato per un secolo il leader culturale indiscusso nella regione. Lo scontro fra nazionalisti – in primis l’establishment militare – e islamisti è tutt’altro che terminato. Per ritornare in auge, il Cairo deve innanzitutto rilanciare il paese attraverso drastiche riforme che possano ridare fiato a un'economia profondamente chiusa, in crisi.

2. Dal ruolo dell’Algeria: il paese più grande e florido del Maghreb, ricco di grandi riserve di energia (gas e petrolio). L’Algeria è il terzo maggiore fornitore di energia aEuropa. Il regime militare che controlla il paese dai tempi della guerra civile degli anni ’90, in cui morirono oltre 100.000 persone, sta cercando un possibile sostituto all’anziano presidente Abdelaziz Bouteflika, sopravvissuto all'ondata di proteste della Primavera Araba perché la popolazione non ha ancora scordato le violenze della guerra civile. Ma col passare del tempo i movimenti islamisti potrebbero guadagnare di nuovo terreno.

3. Dalle scelte dell’Arabia Saudita: l’ascesa della classe media, che chiede sempre maggiore rappresentanza, potrebbe avere ripercussioni negative sulla stabilità del paese. A questo si aggiungono i problemi economici: Riyadh sta esaurendo le riserve e potrebbe iniziare a importare energia già a partire dal 2030. Un eventuale indebolimento della monarchia renderebbe ancora più difficile il controllo del territorio, soprattutto della regione al confine con lo Yemen dove è in corso da anni la rivolta sciita degli al-Houthi. I giovani prìncipi della casata sono consapevoli delle difficoltà e dell’opposizione di un’ampia fetta del mondo giovanile, e stanno lentamente cercando di implementare riforme che potrebbero un giorno trasformare il paese in una monarchia costituzionale.

4. La presenza di ampie “terre di nessuno: approfittando della guerra civile e dell’instabilità generale, nella fascia desertica fra la Siria e l’Iraq si sono trincerati gruppi estremisti che cercheranno di dar vita a emirati islamici locali provocando maggiore instabilità in tutti i paesi limitrofi, compresi Libano e Giordania.

Quale dei due campi avrà la meglio? Difficile a dirsi.

Nell’instabilità generale ci sono comunque alcuni punti fermi: ad esempio la presenza di un'enorme popolazione giovanile (circa il 60% della popolazione) potrebbe favorire l'occidentalizzazione dei costumi facendo crescere il desiderio di maggiore libertà. Nessuno nei due campi può permettersi di ignorare il ruolo dei giovani nelle società arabe: eventuali errori di governo potrebbero portare a ulteriori rivolte, questa volta non più contro il dittatore di turno, ma contro l’intero establishment politico-militare, già profondamente delegittimato di fronte all’opinione pubblica.

   

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