240 anni di coerente strategia americana
Liberamente tratto da Strategic Forecasting, 8 luglio 2014

15/07/2014

È opinione diffusa che l’America possa, per la sua posizione geografica, evitare di farsi coinvolgere in ciò che accade fuori dei propri confini. In realtà gli Stati Uniti raggiunsero l’indipendenza grazie a una strategia tutt’altro che isolazionista, attuata con astuzia dai padri fondatori, che seppero sfruttare le tensioni tra la Gran Bretagna e la Francia.

La Gran Bretagna aveva da poco sconfitto la Francia nella Guerra dei Sette Anni, che sul fronte nordamericano ebbe il nome di Guerra Franco-indiana. Ma la vittoria non pose fine alle ostilità con la Francia, la quale fornì armi, munizioni e altri rifornimenti ai rivoluzionari, sbarcò truppe in sostegno alle forze Americane, e svolse con la sua flotta un ruolo decisivo nell’assicurare la vittoria finale degli Stati Uniti a Yorktown.

L’America continuò a prendere posizione in questo scontro europeo anche nei decenni successivi. L’economia statunitense dipendeva in gran parte dagli scambi commerciali con l’Europa, in particolare con la Gran Bretagna, e l’indipendenza non mutò la situazione. Ma la Rivoluzione Francese del 1789 pose gli Stati Uniti di fronte a un grande dilemma. Si trattava infatti di un movimento anti monarchico e repubblicano, apparentemente in linea con i valori degli Stati Uniti. Dunque, dal punto di vista morale, gli Stati Uniti parevano obbligati a sostenere la Francia e la sua rivoluzione. Ma dal punto di vista economico dipendevano dai commerci con la Gran Bretagna. I democratici di Jefferson volevano sostenere la Francia, mentre i federalisti, coscienti della potenza navale britannica e della dipendenza americana dal commercio, preferivano l’allineamento alla posizione britannica. Tra tensioni e critiche, gli Stati Uniti finirono per allinearsi col loro ex nemico, la Gran Bretagna.

Quando Jefferson divenne presidente, nel 1800, non cambiò la politica estera. La Rivoluzione Francese nel frattempo era degenerata nel Terrore e Napoleone aveva preso il potere. Jefferson sapeva bene che gli Stati Uniti avevano bisogno di mantenere salde relazioni commerciali con la Gran Bretagna, e che occorreva una strategia molto prudente, dato che allora il Paese era poco più che una striscia di terra tra l’Atlantico e gli Appalachi, con pochi collegamenti tra nord e sud e una forte dipendenza dal mare.

Il conflitto tra Francia e Gran Bretagna si riaccese ancora una volta e nel 1803 Napoleone pianificò l’invasione della Gran Bretagna. Le finanze di Napoleone erano disastrate e Jefferson sfruttò la situazione per rislvere il dilemma strateico dell'America:  negoziò l'acquisto della Louisiana dalla Francia. Le entrate rafforzarono la Francia nell’immediato, ma Jefferson scommise che gli Inglesi non sarebbero arrivati a bloccare gli scambi commerciali con gli Stati Uniti per questo motivo. Jefferson acquisì così nuovi territori fino alle Montagne Rocciose e il controllo del bacino del Mississippi-Missouri, che sarebbe divenuto la principale via di trasporto verso l’Europa per i prodotti agricoli del Midwest. I federalisti lo accusarono di aver violato la Costituzione perché non aveva chiesto l’autorizzazione del Congresso, ma intanto il Presidente riuscì a sbarazzarsi della presenza francese nel continente e a perseguire una politica estera coerente, senza tuttavia innescare una crisi con gli Inglesi.

Jefferson intraprese anche due guerre in Oriente − poi chiamate Guerre Barbaresche – contro l’Impero Ottomano (in particolare contro le reggenze ottomane di Tripoli, Algeri e Tunisi) e lo stato indipendente del Marocco. Questi stati rivendicavano il diritto di controllare i commerci nella regione, sequestrando le navi degli stati con cui non avevano accordi commerciali e chiedendo un riscatto per rilasciare l’equipaggio. Prima dell’Indipendenza le navi americane non correvano questo pericolo, perché tutelate dagli accordi che la Gran Bretagna aveva stretto coi corsari, ma questi trattati non si applicavano ai nuovi Stati Uniti indipendenti. Invece di negoziare nuovi accordi, Jefferson scelse lo scontro, e l’inno dei Marines ricorda i combattimenti sul suolo libico ancor oggi conteso fra le fazioni. Gli Stati Uniti non potevano basare la loro economia esclusivamente sugli scambi interni; dovevano commerciare con altri paesi e per farlo avevano bisogno del libero accesso all’Oceano Atlantico. L’idea che gli Stati Uniti non dovessero invischiarsi in intricate alleanze aveva un suo fascino, ma in pratica, per poter commerciare, bisognava allinearsi con la potenza navale che dominava l’Atlantico, ovvero la Gran Bretagna. Lipotesi dell’autarchia era pura fantasia, evitare qualsiasi schieramento era semplicemente impossibile.

Questa presa di coscienza culminò nella guerra del 1812. Infuriavano le guerre napoleoniche e la volontà di bloccare il generale francese indusse la Gran Bretagna a cercare di impedire che gli Stati Uniti stringessero legami commerciali con altre potenze. Per far fronte alla mancanza di uomini, Londra ordinò il sequestro delle navi americane e l’arruolamento forzato nella Royal Navy dei marinai nati in Gran Bretagna. Infine, gli Inglesi sostennero le tribù indiane contro l’espansionismo americano nell’ovest e rafforzarono il controllo sul Canada. Gli Stati Uniti non potevano permettere che gli Inglesi ponessero restrizioni ai loro scambi commerciali nell’Atlantico, né tollerare le loro manovre in Nord America. Nonostante desiderassero la pace, dichiararono compatti guerra alla Gran Bretagna. Washington venne incendiata, ma dal punto di vista strategico l’esito della guerra fu favorevole agli Stati Uniti: la Gran Bretagna smise di minacciare il Midwest dal Canada, gli arruolamenti forzati cessarono (dopo la sconfitta di Napoleone, non erano più necessari) e gli Inglesi tornarono ad avere un atteggiamento più benevolo, anche se non di piena fiducia, nei confronti degli Stati Uniti.

Poi venne la dottrina Monroe, emanata nel 1823 con l’obiettivo di limitare la presenza degli Europei nelle Americhe. Doveva essere un documento congiunto tra Gran Bretagna e Stati Uniti, ma questi ultimi decisero di annunciarla autonomamente, anche se in realtà potevano assicurarne l’applicazione soltanto con la collaborazione della Gran Bretagna. Fu anche questo un modo di riaffermare la volontà di non permettere alle potenze europee di immischiarsi negli affari dell’emisfero occidentale.

Nel discorso di commiato, spesso citato da chi si oppone a interventi militari all’estero, George Washington disse: “L’Europa ha interessi che non hanno alcun rapporto, se non remoto, con i nostri. Deve impegnarsi in frequenti controversie a noi estranee. Saremmo quindi poco saggi se ci lasciassimo coinvolgere da legami artificiali nelle normali vicissitudini della sua politica o nelle normali combinazioni e collisioni delle sue amicizie e inimicizie. La nostra condizione di Paese distante e distaccato ci suggerisce una strada diversa e ci permette di percorrerla. Se rimarremo uniti come un solo popolo guidato da un governo efficiente, non sarà lontano il giorno in cui potremo sottrarci ai disturbi esterni; in cui potremo assumere un atteggiamento neutrale e lo potremo far rispettare in ogni momento; in cui le nazioni belligeranti, impossibilitate a fare conquiste a nostro detrimento, non oseranno neppure provocarci; in cui potremo scegliere in base i nostri interessi tra la pace e la guerra, guidati dal senso di giustizia (...). Avendo sempre cura di mantenerci in una rispettabile posizione difensiva per mezzo di accordi convenienti, potremo con sicurezza affidarci ad alleanze temporanee in casi di straordinaria emergenza”.

È importante distinguere quello che i padri fondatori auspicavano, da quello che fecero. I rivoluzionari americani non volevano esser coinvolti in conflitti e controversie, ma non furono sorpresi né si sottrassero quando il conflitto si rivelò necessario. Ciò che minò la pace auspicata da Washington e da Jefferson fu la necessità di commerciare, che rese gli Stati Uniti, deboli com’erano al tempo, vulnerabili di fronte a Gran Bretagna, Francia e Impero Ottomano. Oggi gli Stati Uniti sono molto più potenti e il loro PIL rappresenta oltre il 20% di quello mondiale. Le proporzioni dell’economia americana fanno sì che sia coinvolta in ogni angolo del pianeta, che gli interessi nazionali e lo scontento straniero portino continuamente nuovi pericoli e sfide. I padri fondatori volevano la prosperità del Paese senza pagare il prezzo del coinvolgimento all’estero, ma la prosperità dipende dall’attenta gestione delle relazioni internazionali. Oggi le difficoltà degli Stati Uniti sono molto più sfumate e complesse, ma il principio resta lo stesso: non si può essere parte integrante dell’economia mondiale, senza essere coinvolti anche politicamente e militarmente.

Non c’è alternativa a ciò che fecero Washington e Jefferson: avere una chiara visione dell’interesse nazionale e della giustizia e non lasciarsi coinvolgere negli scenari contrari all’uno e all’altra. Sfortunatamente non è sempre facile individuare l’interesse nazionale e definire che cosa sia giusto, ed è ancora più difficile raggiungere un accordo sul che fare.

Lidea di ritirarsi dal mondo ha un suo fascino e Washington e Jefferson la esaltarono, ma non poterono metterla in pratica. È piuttosto improbabile che lo si possa fare oggi, quindi agli Stati Uniti non resta che essere determinati nel decidere dove intervenire per tutelare gli interessi nazionali.

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