L'ISIS
tre o quattro cose che è meglio sapere…

15/09/2014

Molto si parla dell’ISIS in queste settimane, ma si corre il rischio di non conoscere davvero i suoi punti di forza e di debolezza. Perciò è bene vederne rapidamente la storia.

L’ISIS è l’evoluzione di al-Qaeda in Iraq, o AQI, gruppo jihadista sunnita iracheno che raggiunse l’apice del successo con gli attentati in Iraq degli anni 2006-7 contro l’esercito americano, dopo aver arruolato frotte di soldati ed ufficiali provenienti dall’esercito di Saddam Hussein che gli Americani avevano sciolto, commettendo un errore tattico e psicologico che ebbe molte conseguenze negative. Poi il generale Petraeus riuscì a convincere la maggioranza delle tribù sunnite ad abbandonare il terrorismo ed al-Qaeda, con l’operazione chiamata ‘tribal awakening’, cioè ’risveglio tribale’, che offrì sostegno politico ed economico alle tribù sunnite per avere il loro appoggio contro il terrorismo jihadista.

Dopo il ritiro degli Americani dall’Iraq la politica faziosa del governo al Maliki privilegiò grandemente gli Sciiti a scapito dei Sunniti e la violenza ricominciò: nel 2013 in Iraq 8000 civili morirono in attentati, per lo più compiuti dai miliziani del vecchio gruppo AQI, che però non si chiamava più AQI ma ISIS, Stato Islamico in Iraq e Siria. Perché questo cambiamento di nome?

AQI era stata fondata da Abu Musab al-Zarqawi, un giordano che aveva combattuto in Afghanistan con Bin Laden, il quale nel 2001 si era rifugiato con un gruppo di compagni nel Kurdistan iracheno, alleandosi con i miliziani di Ansar al-Islam, gruppo separatista curdo. AQI nacque così dall’alleanza fra al-Zarqawi con i suoi Arabi sunniti ed i separatisti curdi iracheni. Nacque ufficialmente nel 2004, quando al-Zarqawi giurò fedeltà ad Osama Bin Laden. Ma al-Qaeda non riusciva più a mettere a segno grandi azioni in quegli anni, dunque AQI era il gruppo di gran lunga più forte e più attivo, e già nel 2005 non obbediva più alle istruzioni politiche della dirigenza di al Qaeda, che raccomandava di non attaccare i luoghi sacri agli sciiti, di non mostrarsi crudele verso altri islamici, di non entrare in competizione con altri gruppi affiliati ad al Qaeda. Nel giugno 2006 gli Americani riuscirono ad uccidere al Zarqawi, che venne sostituito da Abu Ayyub al-Masri , un egiziano esperto di esplosivi, che cambiò il nome del gruppo da AQI a ISI, Stato Islamico dell’Iraq, che nel 2012 divenne ISIS, aggiungendo la Siria.

Secondo l’intelligence americana AQI -ISI fu finanziata per anni anche dall’Iran, oltre che da moltissimi sostenitori in Giordania, Arabia saudita e Siria. Ora è in grado di finanziarsi da sola, imponendo tasse nelle zone conquistate, o con razzie.

La storia dell’ISIS ci dice che la dirigenza di ISIS può contare su di un’esperienza quotidiana di guerriglia di almeno 15 anni, che conosce a fondo il territorio sia sunnita sia curdo in Iraq, che conosce bene tutti i capi tribali. Può contare sull’esperienza militare degli ufficiali del vecchio esercito di Saddam Hussein, ma non ha le limitazioni di un esercito regolare, che veste uniformi, dorme in grandi caserme, è identificabile ed attaccabile anche dall’alto. Sotto i recenti bombardamenti americani i miliziani dell’ISIS si sono vestiti in borghese, si sono divisi in piccoli gruppi e si sono sottratti all’osservazione dall’alto. E’ chiaro che per sconfiggere l’ISIS occorre tener conto di queste sue caratteristiche - e che soltanto la perdita dell’appoggio delle popolazioni locali può indebolirli fino a sconfiggerli - non una campagna militare convenzionale, che per altro nessuno in Occidente ha intenzione di affrontare.

Si può contare sulle potenze regionali per contenere e sconfiggere ISIS? In parte sì, perché per motivi diversi ISIS rappresenta un pericolo per Turchia, Iran e Arabia Saudita - ma per altrettanti motivi diversi la sconfitta di ISIS aumenterebbe altre difficoltà e altri pericoli per gli stessi stati.

La Turchia teme il separatismo curdo, che potrebbe espandersi alla Turchia, non vuole veder rafforzata l’egemonia dell’Iran, ed è oggi il principale sostenitore del movimento dei Fratelli Musulmani, cui appartiene anche Hamas, attraverso il quale spera di esercitare una vasta egemonia in tutto il Medio Oriente. I Fratelli sono ora sconfitti in Egitto, ma la Turchia - e il Qatar - forniscono ospitalità e sostegno - anche politico - alla sua dirigenza. Avere l’ISIS sul confine siriano è per la Turchia fonte di instabilità, sia perché centinaia di migliaia di Siriani in fuga cercano rifugio in Turchia, sia perché guerriglieri islamisti da tutto il mondo vanno e vengono dalla Siria passando per la Turchia e attirano nella guerriglia anche islamisti turchi. Dunque la Turchia vuole contenere e sconfiggere l’ISIS, ma non tanto da essere pronta a rafforzare per questo i Curdi o l’Iran, né l’esercito del filo-iraniano Assad. Tanto meno vuole presentarsi come collaboratore dell’Occidente contro parte del mondo islamico.

L’Iran vuole mantenere il potere sciita in Iraq, dunque è nemico ‘naturale’ dell’ISIS in Iraq, ma vuole anche mantenere al potere Assad in Siria ed evitare che la Siria cada sotto l’egemonia turca. Se l’ISIS venisse sconfitta, si rafforzerebbero gli altri ribelli sunniti anti-Assad, che sono sostenuti dalla Turchia. L’Iran non vuole collaborare con i gruppi filo-turchi contro ISIS in Siria, perché questo potrebbe affrettare la caduta di Assad, alleato dell’Iran.

L’Arabia Saudita è il paese in maggiori difficoltà: ha alimentato per decenni il jihadismo islamista un po’ ovunque, ma i gruppi vincenti – da al Qaeda all’ISIS, si sono sempre sottratti al suo controllo e alla sua autorità, diventando un serio pericolo per la dinastia del Saud. Per altro il grande nemico regionale dell’Arabia è l’Iran sciita, l’attuale grande nemico ideologico in campo sunnita è la Fratellanza Musulmana. I Sauditi nella regione hanno soltanto nemici e rivali, con l’eccezione di alcuni gruppi jihadisti salafiti e dell’Egitto di al-Sisi. Non possono pensare di allearsi con l’Iran o con la Turchia per sconfiggere l’ISIS, né di appoggiare il filo-iraniano Assad.

La Giordania in questo contesto è un paese ad alto rischio di collasso, con zone del paese in cui gruppi islamisti potrebbero ribellarsi con le armi e prendere il potere, ed è inondato da profughi siriani. Deve badare a salvare se stessa.

Gli Stati Uniti e l’Occidente avranno bisogno di una grandissima abilità diplomatica per utilizzare gli aiuti che ognuna di queste potenze regionali è disposta ad offrire per contribuire a contenere l’ISIS, sapendo che nessuna di loro è pronta a impegnarsi davvero a fondo sul terreno, né è disposta a favorire le altre. E che probabilmente ogni paese è pronto a tendere trappole agli altri.

Chi sarà disposto ad impegnarsi in operazioni contro ISIS sul terreno? Per ora oltre all’Iran limitatamente all’Iraq, ai Curdi nella loro regione e ad Assad in Siria, non si vedono altri candidati all’impegno. L’Occidente dovrà appoggiare l’Iran e Assad per contenere l’ISIS, inimicandosi l’Arabia saudita e la Turchia? O armare i Curdi, che potrebbero approfittarne per ribellarsi alla Turchia e all’Iran - magari alleandosi di nuovo con l’ISIS, come anni fa con al Qaeda? Nessuna scelta è possibile, si può soltanto tentar di tenersi in bilico sul crinale delle rivalità incrociate - valutando bene che cosa aspettarsi da ogni interlocutore. Quanto era bella la semplicità del mondo bipolare durante la guerra fredda! 

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