L’Unione Sovietica
25 anni dopo. Un riassunto

26/09/2014

Dalle ceneri dell’Unione Sovietica, crollata nel 1991, sorsero 15 nuovi stati. La transizione post-sovietica è stata piuttosto pacifica, segnata da episodi di conflitto soltanto alla periferia: la secessione della Transnistria dalla Moldavia, la guerra fra Armenia e Azerbaigian per il Nagorno-Karabakh, il conflitto fra Kirghizistan e Uzbekistan nella valle di Fergana, le guerre civili in Georgia e Tagikistan.  Proprio in queste zone Mosca ha mantenuto una presenza militare: in Armenia, Kirghizistan, Tagikistan, e nelle repubbliche separatiste di Transnistria, Abkhazia e Ossezia meridionale.  Ha poi iniziato e condotto due guerre nel Caucaso settentrionale.     

Dal 1990 all’inizio del nuovo millennio la Russia fu debole a livello internazionale, perciò UE e NATO ne approfittarono per espandere la propria influenza nell’immediata periferia russa: entro il 2004 avevano attratto nella propria orbita tutti i paesi del vecchio patto di Varsavia.

Ma la situazione cambiò radicalmente con la presidenza Putin, che diede nuova linfa all’apparato di sicurezza. Quando l’aumento dei prezzi dell’energia permise alla Russia una ripresa economica importante, Mosca riconquistò terreno sul piano internazionale, proprio mentre gli USA erano impegnati nei conflitti in Afghanistan e Iraq. Con la guerra contro la Georgia del 2008 e la creazione dell’Unione Doganale con Bielorussia e Kazakistan nel 2010 la Russia ribaltò le tendenze degli anni precedenti ristabilendo il proprio primato nei paesi alla sua immediata periferia e bloccando l’avanzata occidentale.

Ora gli eventi di Maidan in Ucraina hanno riacceso la rivalità fra la Russia e i paesi occidentali per il controllo delle ex repubbliche sovietiche. Possiamo raggruppare oggi gli stati ex-sovietici in tre grandi insiemi: le repubbliche filo-russe, quelle filoccidentali e quelle non allineate.

1.      I paesi in rosso nella mappa appartengono alla sfera di influenza russa: Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan. Sono tutti membri dell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva, l’antagonista della NATO. Bielorussia e Armenia fanno inoltre parte dell’Unione Doganale, che nel 2015 si trasformerà in Unione Eurasiatica con l’ingresso di Kirghizistan e Armenia e successivamente anche del Tagikistan.  Si tratta di paesi che hanno profondi legami con la Russia sul piano politico, economico e militare e che guardano con sospetto all’Occidente, anche per l’influenza prevalente dei media russi. La crisi ucraina ha ulteriormente accentuato questo aspetto, perché i media russi hanno accusato l’Occidente di aver orchestrato un colpo di stato contro il governo ucraino. Questi paesi nutrono una certa nostalgia per l’Unione Sovietica, in cui godevano di un tenore di vita decisamente superiore a quello attuale. Lo testimoniano i nomi sovietici delle strade, le statue di Lenin nelle piazze pubbliche e l’uso del russo nella vita quotidiana.

2.      In viola nella cartina compaiono invece i paesi filoccidentali. Alcuni, come i Paesi Baltici, fanno parte dell’UE e della NATO; Ucraina, Moldavia e Georgia vorrebbero farne parte. Questi paesi si sono scontrati con la Russia in passato e sperano nel sostegno dell’Occidente, specialmente dopo la crisi ucraina, che viene percepita come un pericolo anche per la loro indipendenza.

Qui il russo è meno diffuso: gli adulti lo conoscono ancora per averlo imparato nel periodo sovietico, ma lo utilizzano pochissimo e lo insegnano poco ai giovani. L’epoca sovietica viene ricordata con un certo risentimento, come testimoniano i musei sull’occupazione russa di Riga o Tiblisi.

3.      In giallo nella cartina compaiono i paesi “non allineati”: Azerbaigian, Uzbekistan e Turkmenistan, non a caso tutti importanti produttori di energia, il che garantisce loro margini di manovra in politica estera. Non appartengono ad alleanze militari, non ospitano truppe sul proprio territorio – l’Uzbekistan addirittura fece chiudere una base NATO per il trasporto di truppe e rifornimenti in Afghanistan nel 2005 in risposta alle critiche ricevute per la dura repressione di proteste interne.

Questi paesi hanno forgiato una forte identità nazionale prendendo le distanze dalla Russia sovietica. L’influenza occidentale è ancora limitata per via della natura autoritaria dei regimi al potere.

Verso quale futuro?

L’appartenenza all’uno o all’altro gruppo non è determinata in modo certo e stabile.  L’Ucraina ad esempio è passata più volte da una parte all’altra negli ultimi anni, a seconda del cambio di regime.  Anche la Moldavia, povera e divisa, potrebbe concedere maggiori aperture alla Russia. In Georgia la popolazione è particolarmente favorevole all’integrazione con l’Occidente, ma l’assenza di sostegni concreti ha fatto scemare l’entusiasmo negli anni.

Anche nel campo russo ci sono tentennamenti: Lukashenko in Bielorussia ha un atteggiamento accomodante verso l’UE perché teme il ripetersi degli eventi di Maidan in patria. Tagikistan e Kirghizistan sono politicamente instabili e quindi considerati poco affidabili dai Russi.

La Russia stessa deve prepararsi a grandi cambiamenti: in primis deve affrontare il problema demografico che vede la diminuzione della popolazione slava a favore di popolazioni musulmane e di altre minoranze etniche, soprattutto nel Caucaso settentrionale e negli Urali. Inoltre l’era post-Putin sarà ricca di incognite, e l’influenza sui paesi limitrofi diminuirà man mano che il russo sarà meno parlato. Senza contare gli sforzi europei di una maggiore diversificazione energetica eroderanno il potere di Mosca in Europa. 

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