L’esito incerto
del TTIP

27/10/2014

Il Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), accordo commerciale fra UE e USA, sembra tornato a un punto morto dopo 18 mesi di negoziati. Il TTIP fu pensato nel 2007. Nel 2011 e 2012, quando la crisi dell’euro era al suo culmine e Spagna e Italia erano sull’orlo della bancarotta, le trattative si intensificarono, per aprire nuovi sbocchi al commercio fra gli USA e l’Eurozona.

Ma il TTIP non dovrebbe soltanto incrementare il commercio fra le due sponde dell’Atlantico: dovrebbe definire standard comuni per i sistemi di produzione, i prodotti e i servizi per le due aree geografiche che insieme rappresentano oltre il 60% del commercio globale, e quindi porre le premesse perché il resto del mondo si adegui e si accodi. Si tratta di costruire le condizioni globali per il commercio del secolo XXI, finché il mondo occidentale ha ancora la leadership. Fra un decennio le condizioni potrebbero non permettercelo più.                       

Le barriere al commercio non sono soltanto tariffarie, ma anche e soprattutto normative. Se ad esempio un paese decide che sul proprio territorio è proibito mettere in vendita prodotti che contengano un certo colorante, permesso invece negli altri paesi, significa che le produzioni di altri paesi non possono essere importate − anche senza modificare gli accordi tariffari o i trattati internazionali.  Se un gruppo di paesi stabilisce che nessun prodotto può essere messo in vendita nei loro territori se fabbricato in prigioni o campi di lavoro forzato, o in fabbriche che non rispettano certe norme di sicurezza ambientale, è chiaro che condizionano anche gli altri paesi ad adeguarsi, se vogliono commerciare.

Sul TTIP si stanno allertando in queste settimane gruppi di interesse e partiti politici in tutta Europa. Pare che l’ostacolo più forte alla sigla del TTIP venga oggi dalla presa di posizione di Juncker, il Presidente della nuova Commissione Europea che, si dice, intende rimettere in discussione la clausola sulla cosiddetta “salvaguardia degli investimenti”. Si tratta di una misura secondo cui un’azienda che reputi di essere stata trattata ingiustamente da uno dei governi degli stati membri può far causa allo stato. La clausola è particolarmente invisa in Germania: il vicecancelliere Sigmar Gabriel è nettamente contrario perché a suo avviso garantirebbe alle multinazionali un potere eccessivo. Peraltro fra i paesi europei esistono già da lungo tempo accordi bilaterali che contemplano questa clausola. Ma proprio in base a essa un’azienda svedese ha fatto causa alla Germania, quando questa ha deciso di rinunciare al nucleare, dopo l’incidente di Fukushima. La causa ha destato molte reazioni negative in Germania, ha fatto molto discutere, e ha suscitato opposizione politica all’idea stessa che un’azienda privata possa intentare causa a uno stato.

Il TTIP sarebbe il più vasto trattato di questo tipo al mondo: secondo i dati forniti dalla Commissione Europea (ma privi di dettagli per poter controllare l’attendibilità dei dati…), potrebbe portare 119 miliardi di euro in più all’anno all’economia europea – le esportazioni di automobili ad esempio potrebbero crescere del 149%! Il trattato prevede l’abolizione delle barriere che sussistono ancora fra Europa e Stati Uniti – come il programma “Buy American” che obbliga le aziende pubbliche americane ad acquistare tutto da aziende domestiche – nonché la creazione di standard comuni su una grande quantità di prodotti che potranno essere utilizzati globalmente.

Secondo gli studi di un gruppo indipendente europeo i più avvantaggiati in Europa sarebbero Spagna, Svezia, Regno Unito, Lettonia, Estonia e Lituania, mentre la Francia sarebbe poco avvantaggiata, perché ha scarsi rapporti commerciali con gli USA. La Germania perderebbe clienti in Europa per colpa della competizione americana,  ma trarrebbe comunque un vantaggio dall’aumento dell’export negli USA.

Sono ancora numerose le questioni irrisolte. Organizzazioni ambientaliste e membri della società civile hanno più volte sottolineato che l’accordo mette a repentaglio standard qualitativi e ambientali. Nel Regno Unito numerosi oppositori hanno manifestato contro il trattato per paura che venga danneggiato il servizio sanitario nazionale.

I governi nazionali hanno sinora appoggiato il trattato, ma non sembrano abbastanza convinti a battersi fino in fondo, mentre le opposizioni – specialmente fra gli euroscettici – stanno trasformando la questione in un cavallo di battaglia.

Il TTIP potrebbe naufragare se dovesse essere rimesso in discussione dopo tante discussioni. Peraltro senza la “salvaguardia degli investimenti” difficilmente gli Stati Uniti saranno disposti a firmare. La mancata firma sarebbe una sconfitta per tutti: Europa e USA.  

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