Siamo nella crisi di transizione dallo Stato Politico allo Stato Economico?

07/04/2016

Jay Ogilvy ha pubblicato su Stratfor a fine marzo 2016 un articolo in cui sostiene che l’ascesa di personaggi o partiti politici clamorosamente ‘scorretti’ − come Trump in America o Berlusconi, Salvini e Grillo in Italia, o Le Pen in Francia, e altri in altri nei paesi europei – esprime non soltanto la scontentezza e la paura di larga parte della popolazione nel mondo occidentale perché è svanito il sogno della continua mobilità sociale, a causa del permanere della crisi economica, ma rivela un malessere di fondo – che sarà di lunga durata − per la trasformazione in atto degli stati nazionali.

Ogilvy prende atto che la maggior parte dei simpatizzanti di Trump sono operai con livello di istruzione medio-basso: la parte di popolazione che più soffre della libera competizione globale e perciò si dimostra ostile ai prodotti importati e all’immigrazione, utilizzando toni ormai francamente razzisti, che sembravano dimenticati. ‘L’acido del razzismo, rafforzato dall’ansia economica, sta corrodendo il sogno cosmopolita, il sogno che tutte le etnie e le tutte le culture possano convivere in pace e armonia. Il razzismo è vivo e vegeto sia in Europa sia in America’ scrive Ogilvy. Ma non solo: c’è anche un ritorno al machismo e una recrudescenza di violenza contro le donne, perché la ricerca di sicurezza nelle tradizioni passate, tipica delle fasi di transizione, tocca sempre anche gli aspetti più profondamente emotivi del rapporto fra i sessi.

Secondo Ogilvy è in atto la transizione dallo Stato Politico, cioè lo stato nazionale, allo Stato Economico, che sarà lunga e tormentosa, paragonabile alla precedente transizione dallo Stato Religioso allo Stato Politico, che durò dal XVI al XIX secolo. Nello Stato Economico le grandi aziende che hanno mercato e/o produzione in ogni parte del globo sono talmente potenti che trascinano con sé la politica. La politica interna ed estera degli Stati è necessariamente condizionata in modo sempre più pressante dalle necessità globali delle grandi aziende, senza le quali gli Stati vedrebbero crollare le proprie economie, e di conseguenza i partiti vedrebbero crollare il consenso dei loro elettori. Negli stati nazionali del secolo scorso era il contrario: le grandi industrie manifatturiere erano strumenti di potenza della nazione e dello stato, al servizio della politica, anche se la politica non poteva ignorare le necessità delle aziende. Ora le aziende stanno diventando più forti della politica, i capi delle grandi aziende globali possono sfidare pubblicamente i politici locali, se cercano di avere un’immagine globale, mentre i politici non possono permettersi di vedere indebolire e impoverire i loro ‘campioni’. Si veda ad esempio il recente no della Apple alle richieste dell’FBI, o il gran daffare che si è data la Clinton, in quanto Segretario di Stato, per difendere la posizione di Google in Cina.

Philip Bobbitt in The Shield of Achille così descrive la debolezze degli stati oggi: " […] nessuno stato nazionale può garantire la sicurezza dei propri cittadini contro le armi di distruzioni di massa; nessuno stato nazionale può essere certo che, applicando le leggi nazionali e i trattati firmati, i suoi capi non subiranno processi come criminali, né che le decisioni di governo non saranno usate come giustificazione legale per interventi internazionali di coercizione; nessuno stato nazionale può controllare con successo la propria economia o il corso della moneta; nessuno stato nazionale può proteggere la cultura e lo stile di vita dei suoi cittadini dall’esposizione a immagini e idee straniere, per quanto offensive; nessuno stato nazionale può proteggere la propria società da pericoli transnazionali come la riduzione dell’ozono, il riscaldamento globale e le epidemie infettive. Eppure i compiti degli stati nazionali sono sempre stati proprio la sicurezza nazionale, il mantenimento della pace interna tramite la legge, la tranquillità e il prestigio dello stato a livello internazionale”.

I politici populisti all’opposizione hanno ragione a dire che i politici al governo non mantengono le promesse fatte agli elettori della classe media, ma non hanno neppure più gli strumenti per poterle mantenere. A Washington o a Bruxelles, a Roma o a Parigi, le istituzioni si rivelano sclerotiche, controllate da vecchi gruppi di interesse ben radicati, che però non hanno più funzioni importanti nella società e nell’economia di oggi e di domani. Perciò il loro cercare di mantenere posizioni di potere e di privilegio viene vissuta, quando emerge, come uno scandalo. Non passa giorno senza che i politici al potere non vengano coinvolti con grande clamore in scandali per corruzione o favoritismi che fino a qualche decennio fa venivano tollerati in silenzio, perché portavano qualche beneficio anche alla società nel suo insieme.

Ogilvy mette in guardia dal pensare che gli stati nazionali crolleranno: evolveranno, emergeranno lentamente nuove istituzioni che ridurranno il loro potere, così come il potere della religione e delle chiese non è sparito all’avvento dello Stato Politico, ma si è ridotto e si è trasformato. Ma nella (presumibilmente lunga) fase di transizione tutti i poteri saranno più deboli, ci sarà grande disordine sotto il cielo. 

La politica interna ed estera degli Stati è necessariamente condizionata in modo sempre più pressante dalle necessità globali delle grandi aziende, senza le quali gli Stati vedrebbero crollare le proprie economie, e di conseguenza i partiti vedrebbero crollare il consenso dei loro elettori.

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