Gli scandali in Iran e il futuro di Rouhani

30/07/2016

Gli alti stipendi di dirigenti pubblici e governativi non sono una novità in Iran, ma negli ultimi mesi la questione è diventata oggetto di veri e propri scandali. A maggio sono trapelate anonimamente alcune buste paga di dirigenti delle Assicurazioni statali, i cui stipendi ammontavano a 24000 dollari, ben al di sopra del tetto massimo imposto dalla legge iraniana. L’azienda ha tentato di discolparsi spiegando che quelle cifre comprendevano anche pagamenti arretrati, ma le scuse non sono bastate: il Ministero delle Finanze ha aperto un’inchiesta che ha condotto alle dimissioni di uno dei dirigenti. L’amministrazione Rouhani, la Corte Suprema e altri organi governativi sono stati obbligati a indagare anche altre branche della burocrazia iraniana; pochi giorni dopo quattro delle principali banche del paese sono state coinvolte nello scandalo e i loro dirigenti sono stati rimossi, così come l’intero gruppo dirigenziale del National Development Fund of Iran. Molte delle persone accusate di illeciti sono state costrette a restituire parte del denaro che avevano ricevuto.

Esortato dalla Guida Suprema Ali Khamenei, il presidente Rouhani ha reagito rapidamente e con efficacia, ma lo scandalo ha intaccato anche la sua figura: il parlamento ha aperto un’inchiesta sul ruolo che il fratello potrebbe aver avuto nella nomina di alcuni dei dirigenti di banca poi rimossi dal loro incarico. Intanto sono intervenute con degli arresti anche le Guardie della Rivoluzione Islamica e il loro interessamento costituisce un potenziale fattore di indebolimento del presidente in vista delle prossime elezioni, previste per il 2017. A Teheran ci si chiede già se Rouhani sarà il primo presidente della storia della Repubblica Islamica a non essere eletto per un secondo mandato.

Il possibile impatto di questo genere di scandali sulla corsa alla presidenza non è da sottovalutare. Durante la campagna elettorale del 2005 Ahmadinejad ebbe gioco facile a far leva su uno scandalo legato al petrolio che presentò come favorito dalle politiche di liberalizzazione dei predecessori, Rafsanjani e Khatami. Riuscì a inculcare quest’idea nell’elettorato e a sfruttala per conquistare una vittoria del tutto contro pronostico. Molti dei sentimenti populisti sfruttati da Ahmadinejad per la sua ascesa al potere sono ancora vivi nella società iraniana. Anche se l’inflazione non è mai stata così bassa negli ultimi venticinque anni e gli investimenti stranieri sono invece i più alti da un decennio a questa parte, il divario tra ricchi e poveri non si è ridotto e molte delle riforme strutturali volte a limitare le disuguaglianze sono state bloccate o lasciate incompiute. Ahmadinejad potrebbe approfittarne, sfruttando il seguito che ancora ha tra i conservatori religiosi e l’elettorato meno abbiente. Ma anche se i conservatori riuscissero a impedire la rielezione di Rouhani, avrebbero comunque vita difficile nel cancellare la sua agenda di liberalizzazioni. La maggior parte dei gruppi politici, compresi i conservatori, riconoscono che le politiche intraprese da Rouhani sono necessarie e che una figura isolazionista come quella di Ahmadinejad non è ciò di cui il paese ha bisogno. Quindi, a meno che i rapporti dell’Iran con l’Occidente si deteriorino nuovamente, le politiche economiche di Rouhani resteranno in piedi, anche qualora non dovesse essere rieletto. 

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