La politica postmoderna, facebook e la democrazia
(spunti e osservazioni su di un articolo di Larry F. Martinez)

10/09/2016

Oggi siamo talmente immersi nei mezzi di comunicazione elettronici che le nostre esperienze personali rappresentano soltanto una piccola parte di ciò che sappiamo del mondo che ci circonda. Il resto della nostra conoscenza viene da ciò che gli altri ci dicono e da quello che apprendiamo attraverso i media. Ma quello che recepiamo dai media non è la realtà in sé, ma una piccola parte di realtà, limitata sia dal mezzo usato che dalla selezione del messaggio, inoltre filtrata dalle emozioni di chi invia il messaggio. Questo meccanismo ha un peso enorme nella discussione politica, che pare l’ambito in cui lo scollamento tra realtà e percezione è più evidente.

Il primo confronto televisivo tra due candidati alla Casa Bianca – quello del 1960 tra Kennedy e Nixon – resta un esempio illuminante di come il mezzo cambi la percezione della realtà. I sondaggi realizzati subito dopo il faccia a faccia mostrarono che gli Americani che avevano ascoltato il dibattito per radio ritenevano che Nixon ne fosse uscito vincitore, mentre quelli che l’avevano visto in tv erano convinti del contrario. La realtà trasmessa era la stessa, ma quella percepita era diversa, perché influenzata dal mezzo di comunicazione. In tv si vide un Kennedy abbronzato e rilassato di fronte a un Nixon che continuava a sudare sotto i riflettori: l’attenzione si spostò dal contenuto del messaggio alle guance sudate di Nixon.

Ciò non significa che le decisioni degli elettori siano il prodotto diretto delle percezioni create dai media. Le idee degli elettori sono ovviamente influenzate dall’andamento dell’economia e della società e dalle esperienze personali fondamentali. Ma è importante anche il fatto che un miliardo e mezzo di persone oggi usi facebook. Per gli elettori facebook è oggi una delle maggiori fonti di notizie e di informazioni sul mondo della politica: con quali conseguenze?

Negli anni ’80 il libro “Divertirsi da morire. Il discorso pubblico nell’era dello spettacolo” di Neil Postman  inaugurò un nuovo approccio (postmodernista) all’interazione tra media e politica. Analizzando le differenze tra la democrazia americana del XIX secolo, quando la principale fonte di informazioni erano i giornali, e la democrazia del XX secolo, dominata dalla tv e basata sull’immagine, Postman affermò che la parola scritta favorisce il pensiero critico, mentre le immagini mediate da uno strumento elettronico forniscono soprattutto un’esperienza estetica che conduce a risposte emotive. Se gli elettori americani si fossero limitati a leggere i suoi discorsi, Trump avrebbe vinto le primarie del partito repubblicano? Per la prospettiva postmoderna ciò che conta è l’esperienza estetica percepita dall’elettore attraverso l’interazione con i mezzi di comunicazione.

Facebook cambia ulteriormente l’interazione, perché fornisce i contenuti emozionali desiderati e rafforzati dal feedback di amici e parenti. Il rapporto tra il mezzo di comunicazione e il fruitore viene sfruttato e monetizzato sia con la pubblicità, sia con l’uso dei dati relativi ai comportamenti e ai gusti del fruitore per creargli un ambiente informativo emotivamente più  congeniale. I ‘like’ degli utenti sono utilizzati da Facebook e da altre piattaforme di social news per selezionare e inviare ‘newsfeeds’, cioè informazioni selezionate apposta per attirare l’attenzione degli utenti. Si creano così circuiti di informazioni e di ‘amicizie’ molto vasti, ma sempre chiusi nella stessa sfera di emozioni ed opinioni, senza  confronto con la complessità del modo reale.

I candidati sono consapevoli delle opportunità che nuovi e vecchi media offrono per influenzare le percezioni degli elettori. I consulenti per la campagna di Trump ad esempio fanno passare le sue gaffe per esempi di spirito imprenditoriale e di autenticità, mentre i suoi oppositori le sfruttano per mostrarle come segni evidenti di razzismo, sessismo, omofobia e xenofobia. La realtà del discorso è pesantemente influenzata dal modo in cui la gente lo percepisce, non soltanto attraverso l’immagine, ma anche  attraverso la propria lente emozionale. Perciò nella politica odierna le emozioni sono polarizzate, gli elettori basano le loro opinioni sulle attitudini pregresse e attribuiscono quello che non gli piace a congiure e distorsioni da parte dei ‘nemici’. La veridicità delle affermazioni o delle tesi conta meno della loro apparenza.

Pensare che i fatti parlino da soli è un’illusione. Il potere delle piattaforme social sta nella loro abilità di carpire agli utenti informazioni circa ciò che loro piace o non piace, per inserirne i comportamenti in griglie di dati utili a pubblicitari e politici. In questo modo la tecnologia bypassa il ruolo di intermediario un tempo svolto dai mezzi di informazione, che contribuivano a dettare e discutere l’agenda politica. Nel mondo postmoderno, in cui la percezione ha preso il posto della realtà, i sistemi democratici devono trovare nuovi metodi per incoraggiare la capacità di lettura dei media degli elettori, perché siano capaci  di formarsi un giudizio ragionato sui candidati e sui loro programmi. 

La parola scritta favorisce il pensiero critico, mentre le immagini mediate da uno strumento elettronico forniscono soprattutto un’esperienza estetica che conduce a risposte emotive. Facebook cambia ulteriormente l’interazione perché crea circuiti di informazioni e di ‘amicizie’ molto vasti, ma sempre chiusi nella stessa sfera di emozioni ed opinioni, senza confronto con la complessità del modo reale.

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