Il dispiegamento di potenza russa in Medio Oriente

16/10/2016

Negli ultimi anni lo status della Russia in Medio Oriente è notevolmente cambiato. Alcuni arrivano a dire, non senza motivo, che la Russia sia ormai la potenza dominante nella regione, almeno nel contesto della guerra siriana. Questo si deve alla disponibilità del presidente Vladimir Putin sia a investire nella regione risorse importanti, sia a rischiare in modo considerevole.

Il coinvolgimento russo nella regione è di vasta portata. Ha comportato azioni militari per stabilizzare il regime del presidente siriano Assad, la partecipazione alla campagna contro l’ISIS, la creazione di una base aerea nel nord della Siria e l’impiego di truppe di terra per proteggerla (a partire dall’autunno 2015), attacchi aerei condotti a partire da una base in Iran (autunno 2016), la rottura dei rapporti e la successiva riconciliazione con la Turchia, la fornitura di armi all’Iran, recentemente anche la firma di un (disgraziato) accordo sul futuro della Siria con il Segretario di Stato John Kerry per cui la Russia, a differenza degli USA, non cede nessuna posizione.

Per capire perché la Russia si impegna tanto nella regione dobbiamo guardare a quanto avviene anche al di fuori del Medio Oriente. Pensiamo ad esempio alla guerra in Georgia del 2008, all’annessione della Crimea, alla minaccia all’integrità territoriale dell’Ucraina, alle frasi minacciose contro i paesi Baltici. Sono tutti atti decisi da una stessa persona, in base a una stessa concezione. In tutti i casi la Russia di Putin pare mossa dal rifiuto della posizione marginale in cui è stata relegata dall’Occidente dopo il crollo dell’Unione Sovietica. I Russi vogliono riconquistare almeno in parte lo status che aveva l’Unione Sovietica. Questa volontà si esprime sia a livello simbolico sia a livello pratico.

A livello simbolico la Russia sottolinea costantemente il ruolo dell’Unione Sovietica nella seconda guerra mondiale, il suo peso determinante per la vittoria e il numero delle sue vittime. A livello pratico la Russia cerca di esercitare l’egemonia sulla propria regione e su quelle adiacenti. Per questo la Russia ha reagito così aggressivamente quando ha capito che la NATO intendeva allargarsi ai paesi ai confini con la Russia.

Mosca non accetta passivamente le manovre di contenimento e di esclusione condotte contro la sua potenza, che paiono essere l’obiettivo degli USA. La Russia vede le azioni della NATO e dell’Europa come un attacco alla sua sicurezza, non accetta la spiegazione che siano mirate soltanto alla difesa, ma le considera parte della politica americana per isolare e indebolire la Russia. Perciò una parte considerevole delle azioni russe sono rivolte contro gli USA, considerato il rivale numero uno, ma anche una superpotenza attualmente in condizioni di particolare debolezza. La debolezza è dovuta soprattutto al carattere dell’attuale amministrazione, che vuole schivare qualunque confronto possa richiedere prima o poi un intervento militare. Questa debolezza spiega perché la Russia non accetta compromessi: non sull’annessione della Crimea e sul sostegno ai ribelli dell’Ucraina dell’est; non sullo status di Assad a Damasco. Su questi argomenti i Russi hanno continuato a mostrarsi intransigenti e pronti a usare la forza militare. Sino a ora hanno avuto la meglio.

Se si considerano gli obiettivi nazionali russi sullo sfondo di una certa percezione degli USA, è più facile capire il comportamento russo in Medio Oriente. La Russia risente ancora del trauma della crisi libica. A marzo 2011 la Russia aveva accettato la risoluzione ONU sulla Libia, formulata in modo da escludere la possibilità di guerra contro il regime di Gheddafi. Poi le potenze occidentali procedettero a far cadere Gheddafi, il cui regime era politicamente sostenuto dalla Russia fin dai tempi dell’Unione Sovietica. La Libia cadde nel caos, che ancora continua, diventando il primo fornitore di armi per le organizzazioni terroristiche e il centro di attrazione di tutti i rifugiati africani che vogliono arrivare in Europa.

Il caos libico è l’esemplificazione degli scenari di cui i Russi (e non solo) temono il ripetersi. È il motivo per cui all’erompere della rivolta in Siria la Russia rifiutò qualunque risoluzione che potesse portare a qualunque tipo di intervento contro il regime siriano.

Anche gli avvenimenti in Egitto hanno influenzato le decisioni russe. Dopo la Primavera araba e la caduta di Mubarak gli USA si mostrarono alleato pronto a voltare le spalle agli amici di lunga data. Questo offrì alla Russia di mostrare un volto del tutto diverso, quello di un alleato leale, che non tradisce gli amici. Gli eventi in Libia e in Egitto hanno dato forma all’atteggiamento della Russia in Siria, che è rimasto costantemente e coerentemente fedele ad Assad.

Un altro elemento importante è la preoccupazione per l’espansione dell’islamismo sunnita, che minaccia anche la popolazione sunnita in Russia. L’emergere dell’ISIS e dei suoi emissari nel mondo e il gran numero di volontari affluiti all’ISIS dalla Russia, insieme agli orrendi attacchi terroristici di cui la Russia è stata oggetto in passato, giustifica le paure dei Russi e le loro attuali dichiarazioni.

I Russi dichiarano che il rovesciamento del potere di Saddam Hussein da parte degli Americani e il conseguente rafforzamento dell’opposizione sunnita alleata dell’America sono le cause del sorgere dell’ISIS. La Russia sostiene che il mondo paga il prezzo della sbadata politica americana, e dice di voler prevenire la nascita di una situazione ancor più pericolosa, se Assad dovesse cadere.

L’intervento russo in Siria ha avuto tre fasi: la prima fu la continua fornitura di armi ad Assad, che per altro avveniva da lungo tempo. Per mantenere un flusso di armi costante e possente alla Siria la Russia potenziò anche la sua base nel porto di Tartus. Dapprima si trattò sostanzialmente di munizioni, poi si aggiunsero sistemi avanzati che non servivano contro i ribelli, venduti forse per profitto, che però vennero successivamente trasferiti da Assad ad Hezbollah, senza che i Russi lo impedissero.

La seconda fase è meno chiara: il ruolo dei consiglieri e dell’intelligence russa crebbe molto, ma è difficile quantificare quanti fossero effettivamente i Russi accanto ad Assad. Il risultato però fu che l’esercito di Assad cessò di sfasciarsi e di perdere ogni scontro sul terreno.

La terza fase è iniziata dopo la firma dell’accordo con l’Iran. Allora iniziò il dispiegamento di aerei militari, che sono diventati lo strumento più evidente del potere russo sulla regione. Sono state rafforzate anche le truppe di terra che proteggono porti e aeroporti. 

I Russi agiscono con determinazione, senza preoccupazioni umanitarie, in collaborazione con Iran ed Hezbollah, per salvare il regime alawita. In secondo piano, combattono anche l’ISIS e altri gruppi radicali. La Russia ha approfittato dell’opportunità di trasformare la Siria nel terreno di prova dei nuovi sistemi di armamento e nell’arena in cui sfoggiare le proprie capacità strategiche, ben oltre il necessario per il semplice controllo della situazione locale. La Russia ad esempio ha lanciato missili da navi posizionate nel Mar Caspio, pur avendo aerei stazionati a soli 150 chilometri dal bersaglio da colpire. Ha dispiegato bombardieri strategici e il sistema di difesa antiaerea S-400 anche se non c’erano pericoli dal cielo. Lo ha fatto per mostrare la sua potenza ai governi della regione, soprattutto alla Turchia e all’IRAN, ma anche all’Europa e agli USA.

I successi russi non sono soltanto militari. C’è stato un duro confronto con la Turchia, da cui la leadership russa ha mostrato di saper uscire con destrezza. Prima dell’intervento russo in Siria il presidente turco Erdogan lavorava contro Assad, che detesta. Le truppe russe in aiuto di Assad operavano nella zona a sud della Turchia, gli aerei russi volavano lungo la sua frontiera, in quella che Erdogan considerava una chiara dimostrazione di mancanza di rispetto. Perciò gli aerei turchi a novembre 2015 tesero un’imboscata che abbatté un aereo russo che aveva violato lo spazio aereo turco. A questa prova Putin reagì con fermezza, interrompendo immediatamente ogni scambio commerciale con la Turchia, eccetto la vendita di gas. Iniziò anche una campagna contro Erdogan e la sua famiglia. Fatto ancora più importante, la Russia prese a corteggiare i Curdi del nord della Siria, benché fossero ostili ad Assad, perché vogliono l’indipendenza. I Curdi siriani hanno stretti rapporti con il PKK, gruppo armato curdo in territorio turco, che i Turchi considerano terrorista e contro il quale usano l’esercito. Erdogan capì il pericolo e decise di rovesciare la situazione dei rapporti con i Russi. Approfittò del fallito colpo di stato dello scorso luglio per chiedere scusa ai Russi e rinunciò alla richiesta di esautorare Assad. Putin vinse la prova di forza.

La Russia e l’Iran non sono mosse dalle stesse motivazioni per salvare Assad, ma si ritrovano ugualmente alleati. Entrambi i paesi vogliono ridurre la presenza americana in Medio Oriente. Ci sono stati incontri al vertice e sono stati firmati accordi nel campo dell’energia, inclusa la fornitura di un impianto nucleare dalla Russia all’Iran, e nel campo degli armamenti. Ma l’Iran ricorda ancora l’occupazione russa durante la Secondo Guerra Mondiale e l’allarme dell’opinione pubblica ha posto subito termine all’uso di basi iraniane da parte degli aerei russi.

La Russia sta anche modificando i rapporti con gli stati arabi sunniti. Si parla di vendita di armi russe all’Egitto e della costruzione di un reattore nucleare in Giordania. Più difficili sono i rapporti con l’Arabia Saudita, che inonda i mercati di petrolio, facendo rimanere i prezzi a livelli molto bassi, con grande rabbia dei Russi. Ma si parla di possibili investimenti sauditi in Russia e di possibili vendite di armi russe ai Sauditi, anche se la diffidenza reciproca è alta.

C’è da chiedersi fin dove potrà spingersi la Russia, dati i limiti delle sue risorse. Il territorio russo è vasto, ma la popolazione è in declino e l’economia è teoricamente sull’orlo del collasso. Eppure ha speso molto per ammodernare e potenziare la difesa ed espandersi all’estero. Quanto potrà durare? Non si sa: ogni passo ulteriore della Russia è una sorpresa per il mondo. 

I Russi vogliono riconquistare almeno in parte lo status che aveva l’Unione Sovietica. Una parte considerevole delle azioni russe sono rivolte contro gli USA, considerato il rivale numero uno, ma anche una superpotenza attualmente in condizioni di particolare debolezza.

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