La ‘rivoluzione’ elettorale americana

14/11/2016

Ricevo abitualmente decine di newsletter da vari enti e da opinionisti sparsi nel mondo (occidentale), e ora tutti stanno mandando i loro commenti sul significato dell’imprevista elezione di Trump a presidente, soprattutto dagli USA. Estraggo qualche riga qua e là da decine di pagine (alcune di puro lamento), per mettere insieme un quadro che mi pare piuttosto chiaro.

L’elezione di Trump è «a fundamental shattering of an old paradigm», «la frantumazione di base di un vecchio paradigma; ovunque le élite – quelli che ‘sanno’ come dovrebbe essere gestito il mondo e si aspettano che ‘la gente modesta’ rimanga nei ranghi, sono una specie a rischio di estinzione. Meno male.»

«Non è una battaglia fra destra e sinistra ma fra passato e futuro. Il mondo cambia tutto attorno a noi. Le vecchie istituzioni non sono in grado di controllare una realtà alla deriva fra massicci e sempre più veloci cambiamenti sociali e tecnologici che non ci lasciano il tempo di adattarci. Siamo passati da un mondo in cui il 50% delle persone lavorava i campi di famiglia a un mondo in cui a farlo è meno del 2% della popolazione, ma il cambiamento è avvenuto in 8-10 generazioni. Che cosa faremo ora che i milioni di persone che lavorano nell’industria dei trasporti vedono svanire i loro posti di lavoro in meno di mezza generazione, e lo stesso tipo di fenomeno pare succedere a decine di altre industrie, e a quanto pare tutte in contemporanea?»

Ecco che cosa succede: le istituzioni non riescono più a gestire con efficacia i cambiamenti (lo vediamo e lo diciamo da dieci anni), perciò occorre cambiare le istituzioni. A cambiare le istituzioni nei paesi democratici sono gli elettori, che lo fanno cambiando le persone al governo, scegliendo candidati che danno un segnale forte di discontinuità col passato. Le élite ne sono orripilate, ma si consoleranno al pensiero che non è stata tagliata loro la testa, come successe alle élite del passato quando non furono più capaci di gestire i cambiamenti.

 

Che cosa dovrà cambiare? Arrischio qualche previsione generale:

- Le istituzioni democratiche cambieranno i governi degli stati, ma le istituzioni sovranazionali (Unione Europea, ONU), che non sono elettive, rimarranno statiche, perciò diventeranno irrilevanti. Non verranno soppresse, ma verranno sempre più ignorate. Si svilupperanno nuovi patti e alleanze fra gruppi di stati, che rispecchieranno le attuali condizioni geopolitiche ed economiche del pianeta, non più quelle di 70 anni fa;

- Avremo un’ondata di protezionismo, che sarà molto temperato dai condizionamenti reciproci: non è nell’interesse di nessuno chiudersi al libero commercio mondiale, perciò a discorsi infuocati seguiranno provvedimenti limitati, volti a riequilibrare bilance commerciali troppo squilibrate;

- Nell’arco di una decina di anni forse le nuove tecnologie riusciranno a essere usate per creare più lavoro di quello che viene distrutto, per aprire possibilità di nuovo sviluppo economico e di nuove migliorie alla vita sul pianeta. È su questa prospettiva di crescita che le élite, vecchie o nuove, dovranno esercitare tutta la loro intelligenza e tutta la loro capacità di leadership.

 

Laura Camis de Fonseca

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