George Friedman sui presidenti americani

18/01/2017

Tratto da Geopolitical Futures

 

Nella sua lunga e onorata carriera a Washington come analista di intelligence e come consigliere di presidenti, George Friedman ha elaborato opinioni che vale la pena ascoltare sul ruolo di un buon presidente americano e sul rapporto fra il presidente e le linee politiche del suo governo. «Ci sono quattro categorie di persone a Washington: quelle che fanno analisi politiche, quelle che elaborano le direttive politiche, quelle che presentano le direttive politiche al governo e quelle che le buttano via. Queste ultime detengono il vero potere». Così Friedman toglie ogni dubbio sull’importanza dei consiglieri, dei think tank, delle ricerche accademiche nell’influenzare il governo del presidente: non contano nulla. Perché il presidente non è il capo dell’amministrazione pubblica, è il rappresentante e il difensore degli interessi nazionali, l’ispiratore dei valori da difendere nell’operato di governo, così come nell’operato quotidiano della popolazione. Il suo ruolo morale e simbolico è così importante che non può sprecar tempo con questioni di policy, di linea politica. I grandi presidenti americani del passato sono ricordati e onorati per decisioni e atteggiamenti che non hanno nulla a che vedere con le linee politiche espresse in campagna elettorale.

I leader vivono l’esperienza effettiva di governo come un caos frastornante. Non hanno né il tempo né la possibilità di capire la mole di informazioni e di problemi che gli si riversa addosso, tanto meno di approfondirli. Ma debbono essere capaci di leadership, di indicare la via da seguire in mezzo al caos, identificando le priorità. I grandi presidenti avevano chiare alcune semplici priorità, poi lasciavano che i loro consiglieri cercassero di elaborare politiche adatte, spesso senza successo: Roosevelt voleva far uscire l’America dalla recessione e vincere la guerra, Truman voleva continuare il New Deal, Eisenhower voleva stabilizzare la politica estera ed evitare la guerra nucleare, Kennedy voleva proteggere la libertà dell’Occidente, Reagan voleva porre fine alla stagflazione e risollevare l’immagine degli USA dopo il Vietnam. Questi obiettivi primari non furono mai espressi come linee guida di governo, frutto di analisi e di studio, ma come sostanza morale di ogni azione e di ogni decisione, per quanto poco accorte o controproducenti fossero a volte tali azioni.

L’obiettivo unico e chiaro di Trump è: facciamo di nuovo grande l’America. Avrà successo non tanto per le politiche che verranno elaborate e applicate sotto la sua guida, ma per la convinzione con cui saprà ispirare gli Americani ad agire in questa direzione. «I presidenti debbono essere leader capaci di creare un’immagine seduttiva di come dovrebbe essere il paese e lasciare che le emozioni delle diverse fazioni si scontrino sul terreno di questa visione nel loro agire quotidiano, diventando essi stessi il campo di battaglia su cui il paese si scontra e avanza».

 

 

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