L’origine dell’identità serba nei Balcani

06/08/2018

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All’inizio del XIX secolo l’Impero Ottomano era considerato il “malato d’Europa”, ormai incapace di mantenere il controllo dei suoi territori europei. Era evidente che prima o poi avrebbe dovuto abbandonare i Balcani, dove si sarebbe creato un vuoto di potere, destinato a essere colmato o dall’interno o da una delle potenze europee. 

Il controllo dei Balcani faceva gola in particolar modo agli Austriaci − che avevano perso alcuni territori a vantaggio degli Ottomani nel XVI e XVII secolo ed erano impazienti di riappropriarsene − e ai Russi − che ambivano all’accesso al mare, senza il quale il loro potere sarebbe sempre stato limitato, come aveva evidenziato la guerra di Crimea. Arrivare alla sponda occidentale del Mar Nero avrebbe permesso all’Impero Russo di controllare anche il Bosforo, da lungo tempo sotto il dominio ottomano.

Ma non si trattava solamente di acquisire nuovi territori. Per l’Austria e la Russia avere il controllo dei Balcani era anche un modo per tenere sotto controllo le pericolose e radicali idee che si stavano diffondendo tra le élite dei Balcani, che da decenni si formavano studiando a Parigi, non a Istanbul né a Vienna. Queste élite si ispiravano alle idee della Rivoluzione Francese e ai moti del 1848, vero spauracchio delle monarchie conservatrici. Per le élite era evidente che il potere ottomano aveva i giorni contati e che sarebbe stato necessario creare nuove istituzioni per amministrare i Balcani, che per secoli erano stati parte integrante dell’Impero, non stati vassalli semi autonomi, dotati di amministrazioni proprie.

Il desiderio di scacciare gli Ottomani finì per accomunare i contadini poveri e le élite; anche se gli obiettivi delle parti restavano diversi, si era ormai formata una coalizione anti-ottomana. Il nazionalismo serbo moderno è il risultato della necessità di questi due gruppi di dare una base ideologica alla loro collaborazione.

Nella penisola balcanica l’ultima grande entità politica indipendente era stata l’Impero Serbo di epoca medievale, divisosi in principati indipendenti dopo esser stato sconfitto dagli Ottomani nella battaglia del Kosovo del 1389. Gli Ottomani impiegarono diversi decenni per incorporare completamente questo territorio nel loro impero; l’occupazione comportò conversioni su larga scala (specie in Bosnia ed Erzegovina), migrazioni e spostamenti forzosi di popolazione. Da secoli i popoli che vivevano in territori che erano stati parte dell’Impero Serbo non si identificavano come Serbi, né Bosniaci, Croati o Montenegrini, ma come Cristiani o Greci (cioè seguaci della religione greco-ortodossa), in opposizione alla classe dirigente musulmana degli Ottomani. L’identità aveva base religiosa.

Le élite balcaniche del XIX secolo avevano la possibilità di viaggiare e di entrare in contatto con nuove idee sull’identità nazionale e su come si dovesse governare uno stato moderno. Concepirono il nazionalismo come la base su cui costruire nuove strutture di governo in grado di rimpiazzare il controllo ottomano e tenere a distanza le potenze dell’Europa occidentale. Ma la maggior parte della popolazione dei Balcani era composta da contadini cui non importava il concetto di nazionalismo o di alleanze tra le grandi potenze; la loro preoccupazione era avere abbastanza cibo. E smisero di averne a sufficienza quando l’Impero Ottomano lanciò una serie di riforme che riteneva indispensabili per evitare il collasso.

 

Gli Ottomani non potevano competere con i moderni stati europei, con eserciti che disponevano di tecnologie più avanzate, uomini ben addestrati e sistemi amministrativi che riuscivano a raccogliere le tasse in maniera efficiente. Quella ottomana era ancora una società feudale in cui il potere era più o meno decentrato e amministrato in modi molto vari. La capacità di conquistare religioni ed etnie diverse e di assorbirle in maniera relativamente pacifica nell’Impero fu la chiave del successo ottomano, ma questo incredibile successo lungo secoli impedì di capire che il sistema doveva evolvere. A metà del secolo XIX la riforma più urgente riguardava proprio la capacità di riscuotere le tasse e utilizzarle per le priorità del governo centrale, come erano in grado di fare gli stati europei. Ciò significava non soltanto aumentare le tasse, ma soprattutto pagarle in denaro, mentre per secoli le tasse erano state pagate in natura, con la consegna di parte dei raccolti o di altri beni. Per rilanciare il commercio con paesi stranieri e avere accesso al mercato finanziario internazionale − entrambi prerequisiti per avere un grande esercito − l’Impero doveva ammodernare l’economia e rendere più efficiente la raccolta delle tasse. Ciò ebbe pesanti ripercussioni sui contadini dei Balcani, che pagavano la maggior parte delle tasse raccolte dall’Impero. I contadini vivevano dei loro raccolti, ma dovendo pagare imposte in denaro, indipendentemente dalle oscillazioni di valore dei raccolti, finirono col dover vendere quote maggiori di raccolto per ricavarne abbastanza moneta. Gli appezzamenti piccoli non furono più sufficienti per sfamare le famiglie dei contadini e pagare anche le tasse. La riforma causò un forte peggioramento delle loro condizioni di vita.

Prima dell’avvento del nazionalismo nell’Impero Ottomano esistevano distinzioni identitarie basate sulle differenze religiose, ma quando venne attuata la riforma fiscale queste distinzioni assunsero un nuovo peso. I Cristiani ortodossi dei Balcani avevano vissuto abbastanza pacificamente sotto il dominio ottomano per quattro secoli. Anche se non godevano delle stesse condizioni dei Musulmani, i Cristiani erano liberi di praticare la loro religione a patto di farlo privatamente e pagare un’imposta aggiuntiva chiamate jizya, e questo era uno dei motivi per cui i Balcani contribuivano in proporzione così elevata a rimpinguare le casse dell’Impero. Ma per le minoranze religiose l’Impero Ottomano era spesso più sicuro dell’Europa: nel 1492 molti Ebrei espulsi dalla Spagna fuggirono nell’Impero Ottomano e furono bene accolti, purché non mettessero in discussione l’autorità del sultano e pagassero l’jizya. Con la riforma della tassazione i popoli dei Balcani – per l’80% Cristiani ortodossi e contadini − videro messa in pericolo la loro stessa sopravvivenza, mentre gli amministratori ottomani parevano vivere una vita agiata nelle città. Così il desiderio di scacciare gli Ottomani finì per accomunare i contadini poveri e le élite; anche se gli obiettivi delle parti restavano diversi, si era ormai formata una coalizione anti-ottomana.

Il nazionalismo serbo moderno è il risultato della necessità di questi due gruppi di dare una base ideologica alla loro collaborazione, visto che i loro obiettivi erano divergenti. Potevano sicuramente invocare il comune passato legato alla grandezza della vecchia Serbia, l’opposizione agli invasori sul limitare dell’Europa. Col passare del tempo il nazionalismo avrebbe spinto le élite a reclamare l’uso delle lingue locali, prima parlate dai contadini, invece del greco ancora parlato dalle élite. Ma ciò che li unì realmente, forgiando l’identità serba del XIX secolo, fu l’obiettivo comune di cacciare il dominatore ottomano. È il bisogno a rafforzare l’identità, non il contrario.

Mentre l’Impero Ottomano era in fase di decadenza, quello russo era in ascesa. La Russia divenne la principale potenza cristiano-ortodossa in Europa. Le rivolte serbe cominciarono all’inizio del XIX secolo, in corrispondenza con una delle guerre russo-ottomane (quella del 1806-1812). La Russia fece appello alla comune appartenenza al mondo ortodosso per mettere sotto pressione gli Ottomani, che si trovarono attaccati da tutte le parti. Così ebbe origine il forte legame russo-serbo, esemplificazione dell’abilità della Russia nello sfruttare le nuove identità, ancora malleabili. Il nazionalismo serbo fu un modello per altre nazioni dei Balcani che miravano a sviluppare stati nazionali indipendenti. Le potenze europee che ambivano al controllo dei Balcani entrarono in competizione fra di loro per conquistare i cuori e le menti delle nuove nazioni balcaniche.

Quando l’Austria-Ungheria annetté la Bosnia ed Erzegovina nel 1908, la Serbia si allarmò e chiese l’aiuto della Russia. Ma la Russia stava ancora riprendendosi dalla sconfitta subita nel 1905 da parte del Giappone e dai tentativi rivoluzionari che seguirono. Perciò quando la Germania dichiarò che si sarebbe schierata a fianco dell’Impero austroungarico in caso di aggressione da parte della Russia, la Russia preferì ritirarsi, ma non si ritirò all’occasione successiva e sappiamo come andò a finire (Prima guerra mondiale).

Nonostante i popoli balcanici avessero vissuto in pace per secoli sotto il dominio ottomano, al cambiare delle circostanze il loro atteggiamento mutò, determinando la storia moderna dei Balcani, tutta conflitti e stragi compiute in nome dell’identità. Identità che si possono costruire o smantellare in pochi decenni, come mostra la storia del nazionalismo serbo.

 

 

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