I modelli geopolitici e il loro uso

23/03/2019

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L’articolo riprende un ragionamento cominciato da Friedman in Le radici della cultura europea: una lettura geopolitica e L’irrilevanza dei leader nella storia dei popoli.

La comprensione dei vincoli geopolitici delle nazioni permette di prevedere le loro azioni o reazioni in determinati contesti. Ma le nazioni sono centinaia e interagiscono fra di loro in modo complesso. Per riuscire a cogliere le principali dinamiche e prevederne l’evoluzione non soltanto a livello regionale ma anche globale, gli storici e i geopolitici hanno elaborato una serie di modelli. Si tratta di modelli sempre in evoluzione, basati sulla storia passata, proprio come i modelli elaborati dagli economisti, che debbono essere rivisti ogni volta che si verificano eventi non previsti nel modello, i cosiddetti ‘cigni neri’. Un ‘cigno nero’ nella storia fu ad esempio la scoperta dell’America, che cambiò radicalmente gli equilibri geopolitici e gli eventi storici successivi. 

I modelli geopolitici mettono a fuoco le cause e gli scopi delle decisioni prese dalle varie nazioni, in un’ottica di variazione dinamica degli equilibri di potere. Nei modelli geopolitici le azioni politiche delle nazioni acquistano ordine e significato.

I principali modelli geopolitici del passato sono quelli dell’inglese Halford Mackinder, formulato nel 1905, e quello di Nicholas Spykman, americano di origine olandese, formulato all’inizio della Seconda guerra mondiale. I Tedeschi formularono un modello geopolitico alternativo per la Seconda guerra mondiale, quello di Haushofer, basato su illusioni più che sull’analisi storica. Oggi non c’è un modello geopolitico globale chiaro che ci aiuti a valutare i cambiamenti in atto, ma se ne sente il bisogno, perciò si cerca di crearne uno nuovo, partendo dall’analisi critica di quelli precedenti.

Nel modello di Mackinder del 1905 (a lato), si prendeva in considerazione soltanto l’Eurasia, perché si partiva dal presupposto che chi controlla l’Eurasia domina il mondo. All’interno dell’Eurasia Mackinder distingue due macro-aree: il centro del mondo, detto anche Isola del mondo, corrispondente grosso modo all’Impero russo, circondato da un arco di terre che si affacciano al mare, arco di cui fanno parte l’intera penisola europea, il Medio Oriente e l’India, il sud-est asiatico e la costa del Pacifico. Secondo Mackinder la dinamica prevalente nell’arco di potenze marittime è la reciproca rivalità per riuscire a controllare l’Isola del mondo, perché tale controllo − unito all’affaccio su mari caldi − avrebbe permesso il controllo del mondo intero. Questo modello spiegava l’interesse dei Turchi, dei Francesi e dei Tedeschi a far guerra alla Russia e cercar di strapparle territori. Non prevedeva affatto che dieci anni più tardi dall’America potesse giungere in Europa un milione di soldati a sostenere sia la Russia sia la Francia contro la Germania. Il modello non considerava l’America significativa ai fini degli equilibri di potere del mondo! Andava chiaramente rivisto.

Spykman creò un modello che modificava quello di Mackinder (a lato) rovesciandone la dinamica e includendo gli Stati Uniti. Il cuore del mondo rimaneva l’interno del continente euroasiatico, ma il modello vedeva i popoli dell’interno spingere verso le regioni che si affacciano sui mari e i popoli marinari dell’arco costiero (il rimland) in costante rivalità fra di loro, perché il mondo si controlla sulle rotte marittime, non dall’interno dei continenti. Gli Stati Uniti sono una grande potenza perché controllano entrambi gli oceani, mentre gli stati con grandi territori ma con flotte modeste e porti di scarsa rilevanza sono potenze secondarie. Il modello si rivelò utile sia per capire le dinamiche storiche del passato sia per elaborare la strategia vincente per la Seconda guerra mondiale. Questo modello continua a porre l’Eurasia al centro del mondo, cioè dà per scontato che chi controlla l’Eurasia domini il mondo intero. Se così è, l’attuale politica cinese di sviluppo delle grandi infrastrutture della BRI (o nuova via della seta) dalle coste cinesi fino ad Atene e Amsterdam, passando tramite la Russia, appare un pericolo intollerabile, da rintuzzare con determinazione sul nascere. Oggi i leader dei paesi del mondo chiedono ai geopolitici di rivedere il modello e valutare se è proprio così, oppure se il controllo dei mari, dei cieli, dello spazio e dei futuri sistemi di comunicazione (5G e oltre) è la chiave per il controllo degli equilibri del globo nei decenni futuri. 

La teoria di Haushofer (a lato) formulava una visione del mondo suddiviso in aree di influenza che si estendevano da nord a sud, giustificando la pretesa o la speranza della Germania di esercitare l’egemonia sull’Europa occidentale e sull’Africa, senza uno straccio di prova che l’egemonia si esercitasse davvero secondo l’asse longitudinale. La vittoria degli USA nella Seconda guerra mondiale diede ragione alla teoria di Spykman, l’egemonia americana sui mari portò alla totale perdita di influenza delle potenze coloniali europee sull’emisfero sud. Il modello di Haushofer fu però il primo - e per ora l’unico - a prendere in considerazione l’emisfero sud come parte attiva nelle dinamiche di potere globale. 

Friedman propone di introdurre correttivi al modello di Spykman partendo dall’osservazione che i conflitti di potere tendono a esercitarsi in senso latitudinale, in direzione est-ovest. Gli Stati Uniti interagiscono con l’Europa e con l’Asia attraverso il Pacifico e l’Atlantico, in direzione est ed ovest, molto più che con i paesi del Sudamerica. La Russia e la Germania interagiscono fra di loro, più che con le regioni al loro sud. Ma il mondo non ha necessariamente un centro fisso. Il centro degli equilibri globali si può spostare, e in effetti si è spostato più volte nella storia del mondo. Il timore degli USA però è che il continente euroasiatico torni a essere il centro del mondo, unificando le proprie economie dalla Cina al Portogallo – quello che il progetto cinese Belt and Road sembra voler proporre. Fra il proporre una visione e il realizzarla c’è un abisso; se anche la visione perdurasse la realizzazione potrebbe richiedere secoli, tuttavia la visione di un’Eurasia possibilmente unificata provoca subito allarme negli USA. Il pericolo però non è certo imminente, visto che neppure l’Unione Europea riesce ad assumere una visione politica comune. 

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