Piccoli imperatori ed eterni orfani

29/07/2019

Il bravissimo Francesco Sisci, sinologo e fine analista geopolitico, scrive in Brave New China, the Big Change (edito in italiano con il titolo La Cina cambia. Piccola antropologia culturale dei grandi mutamenti a Pechino, edizioni GoWare), che la società cinese ha ormai abbandonato la tradizionale aspirazione alla stabilità sociale, politica ed economica, che fu per millenni fondamento e obiettivo del potere imperiale, e aspira invece al cambiamento, vuole il progresso e lo sviluppo continuo. Ha cioè acquisito la visione occidentale degli obiettivi dell’individuo e della società (dunque della politica), ma questo confligge con la persistente necessità di mantenere un forte controllo centralizzato sullo sviluppo, per evitare squilibri che potrebbero portare la società a frantumarsi. Il breve saggio di Sisci è brillante e profondo, meriterebbe una ben più ampia diffusione non soltanto per la capacità di esporre in modo sintetico e chiaro le differenze profonde e complesse della cultura storica, filosofica e politica cinese rispetto a quella europea, ma anche perché mette in evidenza l’importanza dei fenomeni demografici.

Nella società cinese la poligamia e la convivenza della famiglia allargata all’interno di un unico recinto territoriale (lo ‘hutong’) in cui le risorse erano gestite da un capofamiglia con pieni poteri, mirava a produrre e selezionare al proprio interno il miglior successore possibile nel ruolo di capofamiglia e gestore dei beni di famiglia. I giovani della famiglia erano il centro di tutte le attenzioni, la speranza dell’intera comunità famigliare o tribale, che attraverso loro aspirava a migliorare la vita di ognuno. La proibizione della poligamia e soprattutto la politica maoista del figlio unico hanno scardinato questo sistema, ma non hanno cambiato le aspettative di genitori e nonni, che da circa 40 anni concentrano tutte le loro risorse e le loro attenzioni − ma anche tutte le loro ambizioni – su di un unico figlio o nipote, da cui si aspettano che primeggi negli esami, che raggiunga i vertici in qualche settore pubblico, o che almeno diventi ricco e potente nel settore privato dell’economia. Questi pochi eredi sono colmati di attenzioni e di oggetti, tanto da essere comunemente definiti ‘i piccoli imperatori’, ma sono anche sottoposti a una pressione tremenda, a un terribile senso di competizione serrata e spietata con tutti i coetanei, perché dal loro successo dipende il prestigio morale, intellettuale e sociale dell’intera famiglia, non soltanto il proprio. Come cambierà la società e la politica cinese, ora che stanno arrivando alla maturità e al potere queste generazioni di piccoli imperatori viziati e arroganti, ma cresciuti nella costante ansia di non farcela, di non essere all’altezza delle aspettative, di dover primeggiare all’esterno per essere degni di affetto all’interno della famiglia?

Questo interrogativo induce a chiederci come cambierà la società europea, quella italiana in particolar modo, con l’affacciarsi alla maturità dei nostri (pochissimi) giovani, nati e cresciuti nella bambagia, ma consapevoli del fatto che difficilmente riusciranno a mantenere o migliorare il livello di vita dei nonni o dei genitori, perché l’ascensore sociale si è fermato. Per loro la famiglia non è il pugno che li stringe e forse costringe, ma li sostiene e innalza con tutta la forza possibile. È piuttosto un insieme mobile e indefinito di temporanee solidarietà, di amori e convivenze che d’improvviso cessano, di correnti affettive interrotte perché i genitori, e forse anche i nonni, creano e sciolgono famiglie quasi con la stessa frequenza con cui cambiano lavoro o stile di abbigliamento. I risparmi accumulati dai nonni e dai genitori possono ancora essere a loro diposizione per sopravvivere, ma né la scuola né una incrollabile solidarietà famigliare sembrano garantir loro buone prospettive future. Anche i giovani più capaci e più fortunati sanno che converrà specializzarsi e cercar lavoro all’estero, soli, lontani dalla famiglia. Moltissimi nostri giovani vivono abitualmente il senso di solitudine che è tipico degli orfani, pur avendo casa e genitori viventi: si sentono senza famiglia, senza la certezza di una solidarietà che dura nel tempo, su cui costruire anche la propria forza emotiva e la propria capacità di impegno costante. Queste generazioni stanno appena iniziando a cercar di forgiare una società regolata in base alle loro necessità, alle loro esperienze e alle loro ansie, ben diverse da quelle dei genitori e dei nonni, nati e cresciuti in condizioni diverse. Nei prossimi decenni dovranno fare i conti anche con la società dei ‘piccoli imperatori’ cinesi. Riusciamo a immaginare la possibile evoluzione di questa realtà? 

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