Il cambiamento epocale che non abbiamo capito

21/08/2019

Gli anni 1989-1992 hanno cambiato il mondo. Ne hanno cambiato le politiche, l’economia, le ideologie predominanti e hanno introdotto tecnologie dirompenti, la cui portata non abbiamo ancora del tutto capito.

1989: cade il muro fra mondo comunista e mondo ‘libero’, che porterà nel 1992 al crollo dell’Unione Sovietica e alla perdita della plurisecolare egemonia russa su vaste regioni dell’Est Europa. Nello stesso anno in Cina il tentativo dei giovani intellettuali di cambiare il sistema del partito unico viene definitivamente represso a Tiananmen. Appare chiaro che la liberalizzazione economica non aprirà le porte alla liberalizzazione politica e che la Cina perseguirà un modello sociopolitico radicalmente diverso da quello dei paesi di cultura occidentale. Nel contempo entra in crisi l’economia del Giappone, che dal dopoguerra perseguiva una politica basata sui principi di democrazia e di libera iniziativa, ma anche di aggressività economica all’estero che l’aveva portata in conflitto con gli interessi industriali degli USA, come oggi succede alla Cina.

1989: gli USA inseriscono l’Iraq nell’elenco degli stati sponsor del terrorismo, preambolo di possibili gravi sanzioni. Dopo otto anni di guerra logorante, Iraq e Iran nel 1988 avevano raggiunto un accordo di pace e nel 1989 entrambi i paesi erano tornati a farsi minacciosi verso terzi, non trovandosi più impegnati nella guerra di frontiera. Seguiranno l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, le Guerre del Golfo, l’acuirsi della rivalità fra sciiti e sunniti e la crescita e diffusione tumultuosa di ideologie e organizzazioni islamiste, di cui il mondo intero dovette prender nota l’11 settembre 2001.

1990: Tim Berners-Lee inventa il World Wide Web, il sistema che permette di rintracciare i dati in rete, dunque l’utilizzo universale di internet. Con la successiva introduzione del 3G nel 2001 (in Italia soltanto a partire dal 2004) la quantità di dati trasmissibile raggiungerà volumi impensabili e soprattutto diverrà possibile l’accesso costante e continuo alla rete e ai dati, non limitato dalla durata di una chiamata telefonica.

1992: Il Trattato di Maastricht dà l’avvio alla fondazione dell’Unione Europea. Un nuovo attore politico ed economico potenzialmente di grandissimo peso appare sulla scena globale, ma non riuscirà a darsi una costituzione, una serie di principi condivisi, prova del vuoto ideologico (cui seguiranno esempi di impossibilità pratica) dell’utopia globalista che proprio in quegli anni appariva certamente vincente. Nonostante tanti radicali cambiamenti, la visione politica prevalente nei centri studi internazionali, nell’informazione e nel mondo accademico non riesce a prevederne le conseguenze, ma dipinge un futuro di pace globale e di sviluppo economico ben regolato da organismi sovranazionali in cui tutti i paesi parteciperanno indefinitamente con pari buona volontà e obiettivi condivisi. Soltanto Samuel Huntington immagina prossimi conflitti fra civiltà, ma viene zittito e deriso dagli intellettuali di tutto il mondo.

Oggi a molti di noi pare impossibile non aver immaginato e tanto meno previsto che gli interessi di Cina e USA sarebbero presto entrati in conflitto, che l’Africa e il Medio Oriente e persino i Balcani (1991 guerra civile nell’ex Iugoslavia) sarebbero divenuti centri di spaventose violenze, capaci di coinvolgere paesi lontani (1992 caduta della Somalia in mano ai terroristi, 1994 genocidio dei Tutsi in Ruanda). O che di fronte alle crisi l’Europa non avrebbe trovato soluzioni comuni e avrebbe iniziato a sfaldarsi.

Ma probabilmente le conseguenze più profonde e di più lunga durata degli avvenimenti del periodo successivo al 1989 ancora ci sfuggono, non riusciamo a immaginarle, in particolar modo quelle che derivano dalla diffusione globale della rete. Non dobbiamo sentirci particolarmente stupidi per questo. Carlo Marx fu un grandissimo pensatore, ma tutte le sue previsioni furono inficiate dal non aver preso in considerazione una banale verità che allora appariva ovvia soltanto a qualche grandissimo imprenditore industriale: si poteva sviluppare la produzione di massa soltanto se ci fossero state masse di acquirenti, perciò era non soltanto auspicabile ma inevitabile che gli operai stessi diventassero abbastanza ricchi per essere i principali acquirenti dei prodotti. Oggi è una verità ovvia e banale, ma per cento anni il mondo ha conosciuto aspri conflitti sociali e politici fra quelli che la capivano e quelli che non la capivano.

 

Le conseguenze più difficili da prevedere, da capire in anticipo, sono sempre quelle conseguenti alle innovazioni tecnologichePer questo è molto benvenuto un libro come Capitalismo immateriale, di Stefano Quintarelli, raccomandato da Superquark. Accanto ad analisi e previsioni di pericoli e opportunità di cui i mezzi di informazione già discutono, il libro offre informazioni e previsioni meno note e meno scontate. Vale la pena ad esempio riflettere su come il potere (cioè la conoscenza e il rapporto diretto con l’utente finale) tenda a concentrarsi sempre di più nelle mani degli operatori delle piattaforme che raccolgono, analizzano, classificano e gestiscono i dati degli utenti, i nostri dati, sintetizzati nel termine Big Data. Prendiamo ad esempio Google: all’utente dà gratuitamente tutto: caselle di posta, spazi di archiviazione in cloud, chiamate in voce e trasmissione illimitata di dati con What’s app, l’uso di Facebook e Instagram, il magnifico servizio di Google Maps, soprattutto la rapidità del servizio di ricerca in rete. Chi non usa Google o le sue applicazioni? Lo usiamo tutti. Ed è tutto gratis. Come mai? Su che cosa guadagna Google? Gli algoritmi acquisiscono da tutto ciò che noi facciamo in rete (ricerche, mail, foto, messaggi, pubblicazione di testi) una messe di informazioni legate al nostro identificativo, le classificano in base a centinaia di elementi diversi e le utilizzano a pagamento per permettere ad altri di raggiungerci in modo selettivo con i loro messaggi, i loro pop-up, le loro immagini, le loro offerte. Nelle parole di Quintarelli ‘è possibile per un intermediario tecnologico ‘pedinare’ l’utente su pressoché tutti i mezzi online che visita (...). Un inserzionista accorto ottiene il massimo beneficio sfruttando il pedinamento digitale per agganciare un utente su un mezzo pubblicitario ad alta qualità e ad alto costo, come può essere un editore tradizionale, e seguendolo con le proprie inserzioni sui mezzi a costo inferiore che costui visiterà’. Quando ad esempio leggete un articolo online cui siete giunti tramite una ricerca su Google, e sullo schermo vi compaiono pop up o messaggi di varia natura, ben mirati direttamente a voi, i ricavi di quelle pubblicità o pop up non vanno al giornale, vanno alla piattaforma, vanno a Google. Così mentre i giornali languiscono, perdono inserzionisti e perdono lettori a pagamento, l’intermediario Google prospera. ‘Gli intermediari tecnologici (social network, motori di ricerca, pedinatori digitali, ecc.) intercettano oggi il 75% dei ricavi pubblicitari digitali (….). Nel giro di pochi anni i ricavi dell’industria dei produttori professionali di informazione si sono ridotti a una frazione di quelli che, in precedenza, sostenevano le strutture di costo’.

Considerando che oggi vediamo soltanto le prime conseguenze dei rivolgimenti che internet potrà apportare a tutti gli aspetti della nostra vita, che gli enormi ricavi degli operatori digitali eludono quasi totalmente la tassazione, che Big Data non sono archivi pubblici ma privati e anche l’autorità giudiziaria può soltanto sperare nella collaborazione volontaria dei gestori dei dati per poter identificare i delinquenti online, che senza interventi a livello politico oggi è impossibile scalzare le posizioni monopolistiche dei pochi operatori esistenti, vi consigliamo di

-          leggere il libro di Quintarelli;

-          prestare molta attenzione alle possibili iniziative prese a livello nazionale e internazionale per impedire il consolidamento dei monopoli in campo digitale, per introdurre forme di tassazione sul territorio, per regolamentare la raccolta e l’uso di Big Data;

-          cercar di capire meglio le conseguenze dell’espansione del 5G e soprattutto dell’adottare tecnologie 5G aperte, cioè interoperabili, oppure chiuse e protette.

Speriamo che i nostri lettori vorranno segnalarci studi, analisi e riflessioni di qualche pregio su questi argomenti, per poterli condividere. 

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Su questi argomenti vorrei poter dire che si dovrebbe condividere "un ambiente". Nel 1989 la Commissione Europea aveva chiesto, agli enti per gli standard [tecnici] della Tecnologia dell'Informazione e della Comunicazione, di condurre uno studio ed indagine sugli standard richiesti dalla gestione di un "Open System Environment", cioè di "Ambienti aperti per la gestione di sistemi [tecnici]". Questo "incipit" non permette di scrivere un commento. Questo incipit dovrebbe essere l'inizio di un'analisi retrospettiva per risalire alle cause di un errore "sociale" che ha prodotto un messaggio [diagnostico] di errore "di sistema" come, secondo me, il libro di Quintarelli. Non saprei quindi come continuare. La necessità di superare questo mio "non sapere come" è perfettamente analoga alla necessità avvertita da scelte e decisioni istituzionali che, negli anni Sessanta e Settanta, determinarono il "costituirsi di ambienti" per la gestione delle relazioni tra "sistemi sociali", come quelli della ricerca scientifica che fa capo al CERN, e "sistemi tecnici", come i sistemi operativi dei super computer richiesti da "funzioni obiettivo" [come le chiama Quintarelli in una nota di pagina 173] "che intendono massimizzare la democrazia", senza fini di mercato. Per cercare una via d'uscita da questo mio blocco comunicativo uso da 5 anno un dominio internet, che ho chiamato casarayuela punto eu, dove ho inserito alcuni "link" a titolo sperimentale e potenzialmente esplicativo. Mi auguro di poter continuare, scusandomi per per ogni imperfezione di questo commento. Luigi Bertuzzi Classe 1940 e nonno di 4 nipoti digitali Spin-off della Fisica nell'informatica, ancora inesplorata, di fine anni Sessanta