Il nuovo corso della Turchia.
Avanti con giudizio, ma senza mai arretrare

22/02/2021

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L’obiettivo della Turchia repubblicana, fin dai tempi di Atataurk, è tornare a essere una potenza economica e militare di primo rango.

Ma mentre Ataturk faceva appello all’eredità culturale e politica di Bisanzio per presentarsi come una potenza europea, Erdogan veste i panni dell’erede del califfato ottomano per perseguire con altrettanta abilità e determinazione lo stesso scopo. È stato appena annunciato che la Turchia manderà un drone con robot sulla luna entro il 2023, nel 2022 lancerà in orbita il primo satellite di produzione interamente domestica. L’economia è grandemente cresciuta nell’arco degli ultimi trent’anni ed è in crescita anche quest’anno, nonostante la pandemia. L’indice di sviluppo umano è passato da 0.58 a 0.82 in soli nove anni. Il modello di sviluppo punta molto sull’innovazione e sul settore dei servizi. L’industria militare turca produce il 70% degli armamenti necessari allo stato.

Come Ataturk, Erdogan sa che la Russia è un rivale pericoloso per l’egemonia nella regione, con cui giocare costantemente d’astuzia, come in una partita a scacchi, però senza mai arrivare alla guerra. Dal 2015 in poi Erdogan ha giocato una difficilissima partita con la Russia in Siria, riuscendo a conquistare terreno nonostante alcune cocenti umiliazioni, e l’ha poi allargata in Azerbaigian e nel Nagorno Karabakh. Ora una nuova difficile partita con la Russia si è aperta in Libia.

Oggi la Turchia ha importanti contingenti militari sul terreno in Iraq, Siria, Libia, Nagorno-Karabakh. Ha basi militari e navali in Qatar, a Cipro e in Somalia.

Una contesa di grande importanza è stata aperta con la Grecia, la Francia e l’Unione Europea in generale per il controllo delle risorse economiche del Mediterraneo orientale.

La contesa in Libia e nel Mediterraneo rischia di porre in diretto conflitto gli interessi turchi con quelli dell’Egitto, ma Erdogan in questi mesi di inizio 2021 sta proponendo l’apertura di un dialogo diplomatico sia con l’Egitto sia con la Grecia, sia con l’Unione Europea. L’obiettivo è ridefinire le sfere di egemonia economica, politica e militare sulle acque e sulle isole del Mediterraneo, attualmente regolata da una convenzione ONU del 1982, che la Turchia non ha mai accettato perché la considera troppo favorevole alla Grecia e a Cipro. L’apertura del dialogo è essenziale per non lasciar alla Russia la possibilità di presentarsi come protettrice degli interessi greci o egiziani nel Mediterraneo.

Su di un argomento la Turchia è ostinatamente restia a qualunque dialogo: sulla questione curda. I Turchi considerano il nazionalismo e l’irredentismo curdo la maggior minaccia alla loro integrità territoriale, perciò non intendono cedere terreno nel nord della Siria, lungo il loro confine sud, che passa in aree tradizionalmente abitate da Curdi.

Limes ha appena pubblicato un dettagliato aggiornamento sulla situazione nella regione di Idlib, in Siria, controllata in modo informale dalla Turchia, per accordo con la Russia e con l’Iran (Ricostruzione e potere in Siria: il caso di Idlib, di Lorenzo Trombetta, 19 febbraio 2021). A nord e a sud della autostrada M4, che corre da ovest a est, operano diverse milizie armate sunnite ribelli ad Assad e formalmente ostili l’una all’altra. In realtà tutte cooperano sia con la Turchia sia fra di loro per bloccare il traffico sulla M4 in direzione di Aleppo, la città che sempre fu il maggior centro commerciale della Siria, oggi ridotta a ben poco. Chi proprio deve proseguire per Aleppo deve pagare ‘pedaggio’ alle varie milizie che hanno posti di blocco attorno a Saraqib, dove la M4 confluisce nella M5, la strada che corre da nord verso sud, attraversando Homs. Tutto il commercio fra la costa e l’interno della Siria, così come quello fra la Turchia, la Siria e il Libano, si svolge invece lungo la direttiva nord-sud ed è controllato dalle milizie sunnite, in collaborazione con la Turchia.

Nella regione di Idlib prima della guerra (iniziata nel 2011) abitavano poco più di mezzo milione di abitanti, quasi tutti agricoltori che vivevano in villaggi. Oggi la regione ospita quasi quattro milioni di persone, di cui quasi tre milioni sono rifugiati che abitano in estese baraccopoli ormai divenute desolati quartieri semi-urbani in cui si è sviluppata una fitta rete di attività economiche legate alla Turchia e alle milizie sunnite ribelli ad Assad.

Le varie milizie da qualche tempo sono confluite nello Hayat Tahrir ash-Sham (HTS), che ha a capo Abu Mohammad al-Jawlani, originariamente di formazione qaedista, arrestato dagli Americani in Iraq nel 2006 e ancor oggi sulla lista dei terroristi più ricercati. Lo HTS ha creato un’ala politica che di autodefinisce ‘Governo di salvezza’. Membri dello HTS hanno creato decine di società tramite il ‘governo di salvezza’, che hanno ottenuto contratti di concessione per gestire tutta un serie di prodotti e servizi forniti da aziende turche. Queste società locali distribuiscono per conto dei Turchi petrolio, gas, elettricità, servizi di posta, servizi internet, acqua, sigarette. Le società di membri dello HTS gestiscono anche raffinerie raffazzonate nel cuore delle baraccopoli (in cui gli incidenti sono frequentissimi), produzioni di beni per consumo locale, tutti i commerci (quasi esclusivamente di contrabbando) fra la Turchia e la Siria, fra la Turchia e il Libano. Lo HTS è dunque di gran lunga il principale datore di lavoro della regione di Idlib, l’unico datore di lavoro per i profughi o rifugiati. Gestisce anche la distribuzione degli aiuti umanitari internazionali nei campi dell’ONU, perché ha tutti i mezzi di trasporto, tutti gli autisti e tutti i facchini.

La regione di Idlib è di fatto una regione economica e militare turca, gestita attraverso milizie locali in cui sono confluiti Siriani e Iracheni formatisi in maggioranza alla scuola di alQaeda.

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