Libertà e autorità nelle diverse culture

19/10/2021

In un articolo su Geopolitical Futures (Arab Leaders and Their Delicate Egos) Hilal Kashan descrive l’insofferenza alla critica e il ricorso costante all’intelligence per reprimere il dissenso come un tratto comune a tutti i capi di stato arabi. Leggi che criminalizzano e penalizzano pesantemente ogni critica al monarca esistono in Kuwait, Arabia saudita, Giordania. Nei paesi arabi a regime repubblicano i despoti in carica considerano il dissenso e la critica come atti di tradimento che minacciano la sicurezza dello stato.

Se ci mettiamo nei panni di società e popolazioni che non hanno vissuto la rivoluzione del diritto che è avvenuta in Occidente nel tardo ’700, la criminalizzazione della sfida, seppur verbale, all’autorità appare ovvia e legittima, così come era ovvia e legittima anche in Europa prima della Rivoluzione americana (terminata con successo nel 1776) e della Rivoluzione francese (terminata con successo nel 1794).

Ho lavorato in Asia per 35 anni e so che neppure i più occidentalizzati manager indiani o cinesi o singaporiani credono davvero che ogni individuo ha per legge naturale, superiore a ogni legge umana, diritti imprescindibili fin dalla nascita, fra cui la libertà di pensiero e la ricerca della felicità personale. Le civiltà asiatiche hanno il senso del diritto della comunità, del popolo, non del singolo individuo. Nelle culture non occidentali l’autorità è legittima se riesce a offrire sicurezza e relativo benessere alla comunità, non se è sostenuta dalla volontà della maggioranza delle persone. La fonte del diritto non è l’individuo, la persona, ma la tradizione.

A noi pare ovvio che ogni persona possa parlare liberamente ed esprimere la propria opinione su qualunque argomento, anche quando le opinioni di quella persona ci appaiono assurde o chiaramente stupide. Poi da questa cacofonia si formerà un’opinione prevalente, che per atto di fede considereremo la migliore possibile nella condizione data. È un atto di fede sostenuto sino ad oggi dal successo storico, oltre che dalla legge matematica della probabilità: scienza, tecnologia, arte e letteratura sono state per due secoli e mezzo dominio quasi incontrastato dell’Occidente e hanno dato alle popolazioni occidentali il massimo livello di benessere. La libertà di pensiero e di azione ha potenziato la conoscenza, la creatività, l’innovazione e l’imprenditoria. Ma la fede nei diritti dell’uomo è stata fortemente contrastata anche da noi. Il nazionalismo razzista e il comunismo classista, entrambi basati sul prevalere del diritto della comunità rispetto al diritto dell’uomo, hanno provocato due Guerre mondiali e una lunga Guerra fredda, ma alla lunga sono stati sconfitti dalle società che basano il diritto sulla persona, non sulla comunità.

Perché in Occidente − e soltanto in Occidente − si è sviluppata la fede nei diritti naturali inalienabili della persona? Per motivi storici e geografici che non è il caso di discutere qui, ma che hanno costruito una lunga tradizione ininterrotta dall’Umanesimo del Duecento italiano fino alla Dichiarazione di Indipendenza americana. L’Umanesimo a sua volta aveva trovato radici nella tradizione di Atene. Noi siamo il frutto di questa plurimillenaria tradizione, che sino ad oggi si è rivelata vincente. Domani chissà…

È bene che prendiamo coscienza non soltanto di chi siamo e in che cosa crediamo, ma anche del fatto che le altre civiltà del mondo hanno un senso diverso del diritto, della legittimità del potere, ma non per questo sono necessariamente inefficienti o barbare. Dobbiamo capirle, prima di decidere come rapportarci con loro.

I Cinesi considerano sacro, cioè di origine non umana ma sovrannaturale, il potere dell’autorità che mantiene la pace sotto il cielo, che si tratti dell’Imperatore o del Capo del partito comunista. La somma autorità va rispettata perché sacra, il segno della sua sacralità consiste proprio nell’avere il potere di mantenere la pace e l’ordine, ma per mantenerla occorre che l’autorità venga rispettata… è un circolo vizioso, ma finché funziona va bene per tutti.

Nel mondo arabo le sanguinose guerre civili successive alla ‘primavera araba’ del 2011 sono state evitate soltanto nei paesi monarchici, dove i monarchi regnano davvero ma hanno anche, per lunga tradizione, una grande capacità di mediazione tra gli interessi delle diverse comunità, e su questa capacità di mediazione poggia il riconoscimento della loro autorità.

Nel più vasto mondo islamico negli scorsi decenni ha evitato la guerra civile l’Iran, dove una doppia struttura istituzionale mantiene l’equilibrio fra le diverse comunità e le diverse classi sociali, offrendo loro diverse possibilità di accesso a livelli superiori di potere, mantenendo però l’indiscussa autorità suprema del capo degli Ayatollah, cioè dei giureconsulti islamici, la cui autorità non proviene dalla volontà del popolo ma dalla tradizione religiosa.

Oggi l’Occidente è demograficamente debole, va verso l’esaurimento: non abbiamo fatto abbastanza figli, tutti presi dal garantire lo sviluppo individuale di ogni persona già nata. Le altre popolazioni sì. La sopravvivenza della nostra civiltà, basata sui diritti della persona, dipende dalla nostra capacità di assimilare rapidamente un gran numero di immigrati in fuga da stati falliti, che da noi accorrono proprio alla ricerca di opportunità personali, mentre le nostre società invecchiate hanno bisogno di nuove energie, di nuova vita. Ce la faremo? Questa è ora la nostra grande sfida, ma non ne sembriamo ancora pienamente consapevoli.

 

Laura Camis de Fonseca

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