Iran in difficoltà
Un'analisi di Michael Ledeen, del 4 gennaio 2009

07/01/2009

Dopo aver finto per anni di non vedere l’aggressività dell’Iran, i più attenti osservatori del Medio Oriente ora riconoscono che le più importanti organizzazioni terroristiche, dal Jihad Islamico a Hezbollah fino ad Hamas, sono essenzialmente cellule di matrice iranianaLe Figaro il fine settimana scorso ha pubblicato una storia dal titolo “L’Iran dietro ai missili Grad di Hamas” dichiarando apertamente che i comandanti militari di Hamas sono stati addestrati in Iran e in Siria all’utilizzo dei missili più pericolosi del loro arsenale. La battaglia di Gaza è la seconda fra Israele e l’Iran in meno di due anni e mezzo, essendo avvenuta la prima nel 2006 contro Hezbollah, in Libano.
 
L’Iran potrebbe perdere questa battaglia: una sconfitta potrebbe essere molto pericolosa per un regime come quello di Teheran, che dichiara di trarre ispirazione divina per le proprie azioni e proclama l’imminente avvento del messia, che farà finalmente trionfare il jihad a livello globale. Se Allah è il vero artefice della vittoria, cosa accadrà nel caso di una umiliante sconfitta? I mullah sono decisamente preoccupati, da quanto trapela dalle loro azioni recenti.
Da un po’ di tempo il regime di Teheran mostra alcuni sintomi di preoccupazione, se non di panico. Recentemente i mullah hanno organizzato manifestazioni di fronte a numerose ambasciate, compresa l’ambasciata d’Egitto (con canti che inneggiavano alla morte di Mubarak), Giordania, Turchia, Gran Bretagna, Germania e anche Francia.  Queste manifestazioni sono semplici atti di protesta; ma le intenzioni del regime sono apparse chiare quando lo scorso sabato (4 gennaio) ha offerto una ricompensa di un milione di dollari a chiunque uccidesse Mubarak (i leader iraniani la considerano “un’esecuzione rivoluzionaria”).  L’annuncio è arrivato in concomitanza con il raduno di Basij, la forza di sicurezza più radicale del paese, dove è intervenuto Forooz Rajaii, ufficiale della Guardie Rivoluzionarie. Gli Egiziani hanno preso l’annuncio sul serio: recentemente lo stato d’allerta è cresciuto, per la paura di un attacco in stile Mumbai al Cairo o altrove in Egitto.
 
Allo stesso tempo il regime ha intensificato i suoi assalti omicidi contro la popolazione, impiccando nove persone la vigilia di Natale e assaltando il quartier generale del vincitore del premio Nobel Shirin Ebadi.
 
L’intensità delle attività denota uno stato di allarme a Teheran, che recentemente ha dovuto affrontare numerosi problemi. Innanzitutto il drammatico calo dei prezzi del petrolio che ha duramente colpito i mullah, che si sono così ritrovati privi del denaro necessario a finanziare le cellule terroristiche in Medio Oriente, in Europa e in America. La situazione è cambiata drasticamente e all’improvviso, e questo ha inflitto un duro colpo al bilancio interno, già piuttosto traballante. Con una presa di posizione ideologica il governo iraniano ha comunque dichiarato di voler tagliare  le esportazioni di petrolio a tutti quei paesi che hanno appoggiato l’incursione militare israeliana a Gaza.
 
Le minacce iraniane non hanno funzionato come desiderato.  
La maggior parte degli analisti europei ed americani non hanno capito a fondo gli effetti della sconfitta di al Qaeda, di Hezbollah e delle Guardie Rivoluzionarie in Iraq, ma certamente i paesi islamici più aggressivi ne capiscono le conseguenze.  Gli Iraniani non solo hanno perso un considerevole numero di terroristi capaci ed esperti – come Imad Mughniyeh, leader operativo di Hezbollah e Abu Musab al Zarkawi, che aveva creato una rete di al Qaeda in Iraq e in Europa – ma anche alcuni ufficiali delle Guardie Rivoluzionarie. Alcune sono state catturate, altre hanno defezionato e hanno raccontato numerosi dettagli a proposito della rete iraniana. Questo fattore ha avuto conseguenze negative sulle operazioni di reclutamento dei terroristi e inoltre ha indebolito la politica iraniana, volta a portare nella propria sfera di influenza i suoi vicini.
 
Inoltre, nonostante tutti gli sforzi del regime per domare la ribellione interna, molti iraniani continuano a opporsi ai mullah. Poche settimane fa gli studenti delle università di tutto il paese hanno manifestato in gran numero. Un Iraniano mi ha raccontato che “gli studenti erano sorpresi del fatto che il regime non era stato in grado di bloccare la protesta, dato che era stata organizzata da tempo”. A questi eventi è seguita una nuova ondata di repressione, accompagnata da un intensificazione degli attacchi su internet e ad un aumento degli strumenti di repressione; Khamenei e Ahmadinejad non hanno fiducia nell’efficienza e nella piena lealtà dell’esercito e di vasti segmenti delle Guardie Rivoluzionarie. La maggior parte della azioni pubbliche sono eseguite dai  Basij, considerati più affidabili, e la repressione è passata dalle mani dei ministri tradizionali a nuovi gruppi estremisti legati al Leader Supremo.
 
I mullah sanno che la maggior parte degli Iraniani vorrebbe vedere i propri leader trattati più o meno come le nove vittime della vigilia di Natale e, come tutti i tiranni, cercano di dimostrare al mondo intero di avere una salda presa sull’Iran e sulla regione. Non è quindi sorprendente il fatto che Sa’id Jalili, segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale Supremo, si serva  della TV al Manar per invitare gli “Arabi, i paesi islamici e i paesi dotati di una propria volontà” a combattere per la vittoria di Hamas a Gaza e a infierire un duro colpo all’ ‘entità sionista’.
L’intervistatore di al Manar ha domandato a Jalili come sarebbe potuto intervenire l’Iran nel conflitto di Gaza. Jalili ha risposto:
 
“Noi crediamo che la solidarietà verso il popolo palestinese espressa in tutto il mondo rifletta la volontà dei paesi arabi e islamici e degli altri paesi dotati di un certo intelletto, che hanno intenzione di avviare un’iniziativa unitaria e in modo coeso per raggiungere due scopi principali: primo mettere fine all’aggressione e secondo assicurare velocemente gli aiuti umanitari alla popolazione di Gaza”.
 
In poche parole il capo del Consiglio Supremo vuole avviare dei negoziati. Ma questo non è di certo paragonabile a un glorioso jihad.
 
Il comandante della Guardia Rivoluzionaria, il generale Mohammad Ali Ja’fari ha dichiarato che “Hamas ha abbastanza armi…la popolazione di Gaza non ha bisogno di altre armi ed è quindi capace di fronteggiare le azioni del regime sionista”. In poche parole Ali ha ammesso la responsabilità dell’Iran per le azioni di Hamas.
 
Abbiamo sentito di appelli sporadici agli Iraniani affinché si sacrifichino per la causa, ma mancano di ogni convinzione. Personalmente non credo che gli studenti siano disposti ad accogliere tale invito. E non credo nemmeno che l’Iran invierà dei combattenti a Gaza. Non è questo il modo in cui agiscono. Spediscono invece gli altri, preferibilmente Arabi, al martirio. Non gli Iraniani. Non riesco a ricordare nessun terrorista suicida iraniano in Iraq, in Afghanistan, in Libano e in Arabia Saudita negli ultimi sette anni. Nonostante i frequenti appelli di Ahmadinejad al martirio, tale glorioso destino è destinato ad altri, non a lui e ai suoi fedeli compagni.
 
Molti erano preoccupati dal fatto che un’invasione israeliana di Gaza avrebbe provocato un’ondata di terrorismo contro i nemici dell’Iran e quasi sicuramente un assalto dal Nord per mano di Hezbollah. Finora questo non è ancora accaduto e al momento Hezbollah ha preferito non intervenire. Anche il silenzio della Siria è piuttosto eloquente. Queste forze si sono proclamate  vincitrici nella battaglia del 2006 contro Israele, ma non sembrano avere intenzione di concedere la rivincita.  Sembrano invece alquanto spaventate, proprio come i leader di Hamas, che preferiscono nascondersi negli ospedali di Gaza piuttosto che combattere per il martirio.
 
Ho affermato in diverse occasioni che il regime iraniano è allo sbando e che quelli che sembrano apparentemente segni di potenza, sono invece pura apparenza e non reali. Questo è un regime che deve costantemente badare alla propria sopravvivenza, non per paura di essere liquidato da un nemico esterno, ma dal crescente odio della popolazione iraniana. In questo momento in Iran il popolo è alla disperata ricerca di appoggio e incoraggiamento, anche dall’esterno. Se l’Occidente è davvero convinto che l’Iran è la causa dell’assalto di Hamas contro Israele, allora deve dimostrare apertamente di essere pronto a reagire e combattere.
 
Io suggerirei di attaccare i campi di addestramento per terroristi in Siria e in Iran e distruggere le linee di assemblaggio che producono le micidiali bombe EFP, che hanno causato la morte o il ferimento di numerosi Americani, Iracheni e Afgani. Sarebbe legittima difesa, dimostrerebbe che consideriamo davvero la minaccia iraniana per quello che realmente rappresenta e manderebbe un importante messaggio alla popolazione iraniana.

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