L'Arabia Saudita
e il futuro dell'Afghanistan

23/01/2009

Liberamente tratto da un’analisi di Greg Bruno, del Council on Foreign Relations dicembre 2008   L’Arabia Saudita potrebbe svolgere un ruolo importante nei negoziati fra i Talebani e il governo afgano. Molti analisti sostengono che l’intervento di Riyadh potrebbe migliorare la situazione in Afghanistan e convincere i Talebani a sedersi al tavolo dei negoziati. L’Arabia Saudita nutre infatti degli interessi nella regione che vanno al di là del processo di pace: proprio come negli anni ’80 e ’90, i Sauditi intendono proiettare la propria influenza in Afghanistan sottraendo terreno alle politiche espansionistiche di Teheran.   I legami fra Arabia Saudita e Afghanistan si sono incrinati dopo l’11 settembre. Alla fine degli anni ’80 l’Arabia Saudita, in collaborazione con gli Stati Uniti e il Pakistan, iniziò ad appoggiare la resistenza afgana contro l’occupazione sovietica. Riyadh finanziava indirettamente gli afgani attraverso i servizi segreti pakistani, l’ISI. A differenza dell’Iran, che finanziava i gruppi sciiti, l’Arabia Saudita e il Pakistan finanziavano i leader wahabiti (il wahabismo è una branca conservatrice dell’Islam Sunnita, predominante in Arabia Saudita). Dopo la caduta di Mohammad Najibullah  nel 1992, scoppiò una lotta in seno ai mujaheddin e il gruppo filo-wahabita si spaccò in due, uno guidato da Gulbuddin Hekmatyar e un altro da Abdul Rasul Sayyaf. Da questo momento in poi l’influenza saudita iniziò a diminuire notevolmente.   A partire dalla metà degli anni ’90 l’Arabia Saudita aiutò i Talebani con l’intento di rovesciare la leadership post-sovietica e controbilanciare la crescita della potenza iraniana. Sicuramente dietro l’appoggio ai Talebani vi erano anche motivazioni ideologiche, in quanto gli ulema sauditi miravano ad esportare il wahabismo attraverso i Talebani. Dopo l’11 settembre l’Arabia Saudita, pressata dalla comunità internazionale, recise i legami con i Talebani. Ma solo un anno dopo  i Sauditi decisero di riaprire l’ambasciata a Kabul e di intessere legami con il nuovo governo, dichiarando di essere interessati ad investire nella ricostruzione del paese.    Alla fine del 2008  l’Arabia Saudita ha ospitato un incontro fra una delegazione di Talebani e alcuni  rappresentanti del governo afgano alla Mecca. Il ministro degli esteri saudita Saud al-Faisal ha fatto sapere che durante l’incontro, promosso dal presidente afgano Hamid Karzai, il governo saudita si è adoperato per convincere le fazioni afgane a deporre le armi ed entrare nel processo politico. È comunque probabile che Riyadh cerchi qualcosa in più dai contatti con i Talebani: con le fazioni sunnite in lotta, l’Iran sciita ha continuato ad espandersi nella regione. Solo attraverso la pacificazione e una maggiore unità dei sunniti è possibile contenere l’espansionismo di Teheran. Per lo stesso motivo negli ultimi mesi l’Arabia ha promosso colloqui di pace fra Israele e i paesi arabi e ha fatto notevoli sforzi per migliorare la situazione in Iraq e in Somalia.    Gli Stati Uniti finora si sono avvalsi della collaborazione del vicino Pakistan, dove i militanti talebani di al Qaeda hanno trovato rifugio dopo la fuga dall’Afghanistan. Ma l’Arabia Saudita si trova in posizione privilegiata e potrebbe presto divenire un valido interlocutore fra i Talebani e l’Occidente, dato che fu uno dei pochissimi stati che riconobbe l’emirato islamico talebano dal 1996 al 2001. L’Arabia Saudita potrebbe convincere alcuni leader a deporre le armi ed entrare nel processo politico; inoltre, grazie all’alleanza con il Pakistan – e alle buone relazioni economiche – i Sauditi potrebbero convincere il governo di Islamabad a compiere uno sforzo maggiore nella stabilizzazione della regione.   Le probabilità di successo non sono molto alte: il principale ostacolo al processo di pace è la frammentazione della struttura di comando talebana. Ma è comunque una strada che vale la pena tentare. 

A cura di Davide Meinero

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