Il 24 luglio scorso in Cina si è scatenata una violenta protesta nelle acciaierie pubbliche Tonghua: 3.000 operai hanno bloccato le attività per protestare contro il tentativo di acquisto da parte dell’acciaieria privata Jianlong Holding.
I manifestanti hanno poi fatto irruzione nella sala conferenze dove si tenevano i colloqui fra le due parti e hanno picchiato a morte il direttore di Jianlong Holding Chen Guojun.
Si tratta della seconda volta in quattro anni che Jianlong tenta di acquistare il colosso pubblico senza riuscirvi.
A sera si sono radunati più di 10.000 operai nell’area intorno agli stabilimenti di Tonghua e la polizia non è riuscita a disperdere la folla. I manifestanti hanno lasciato l’area solo quando il governatore di Jilin ha dichiarato in TV che l’azienda sarebbe rimasta nelle mani dello stato.
Le acciaierie Tonghua sono certamente le più grandi del mondo, ma sono piuttosto inefficienti perché obsolete –
alcuni impianti risalgono all’epoca di Mao Tse Tung, quando il governo promuoveva l’autosufficienza industriale per le province e le città. Negli ultimi anni
il governo ha fatto molto per migliorare l’economia cinese, specialmente nell’industria dell’acciaio,
ma la crisi economica ha rallentato la ristrutturazione del settore e quindi le autorità centrali stanno cercando di tagliare velocemente i rami in eccesso per permettere alle acciaierie Tonghua di rimanere competitive a livello internazionale.
Le industrie private in Cina normalmente sono nelle mani di importanti membri del Partito Comunista. Ad esempio il direttore della Jianlong Holding, Zhang Zhiqianhg, è il nipote di un membro del Comitato Centrale del Partito Comunista ed è quindi legato al governo. Perciò
attraverso l’acquisto di Tonghua il governo intende consolidare ulteriormente la presa sull’industria dell’acciaio per migliorarne l’efficienza, anche se questo comporta inevitabilmente l’aumento della disoccupazione a breve termine. Al momento le autorità cinesi si trovano in una situazione delicata: da una parte vogliono evitare di tagliare posti di lavoro per mantenere la stabilità sociale, ma dall’altra sono costretti a ristrutturare alcuni settori chiave dell’economia per non perdere il passo.
L’incidente del 24 luglio mostra i pericoli delle privatizzazioni in Cina. Infatti è bastato l’annuncio dell’acquisto per scatenare una rivolta di proporzioni colossali che ha portato all’uccisione del manager.
Normalmente le proteste non sono così violente, ma episodi simili capitano ormai di frequente. A febbraio ad esempio 600 impiegati della Panasonic di Pechino, dopo essere stati invitati a dimettersi volontariamente dietro pagamento della liquidazione, hanno circondato la direzione intrappolando il manager nel suo ufficio per alcune ore. Anche il 2 giugno scorso 400 operai del settore edile hanno bloccato l’accesso ad un quartiere residenziale di Pechino, ma sono stati dispersi dalla polizia.
A cura di Davide Meinero
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