La vittoria di Abbas e le sue conseguenze

26/08/2009

Riassunto da una analisi   del prof  Hillel Frisch  della Bar Ilan University  per il BESA (Begin-Sadat) Center  for Strategic Studies,  del 25 agosto 2009. 

Il Congresso  di Fatah di agosto 2009  è il primo dopo 20 anni,  ed ha finalmente visto il successo politico di Abbas.  A Ramallah Abbas  è riuscito a manovrare  il Congresso  in modo da raccogliere il  consenso  attorno alla propria  persona ed al proprio  programma,  e isolare gli oppositori interni.

 Negli ultimi anni  Abbas  ha perseguito dietro le quinte una politica  di costruzione delle istituzioni dello stato, alle spese delle  strutture  politiche e terroristiche  che Arafat aveva  lasciato  fiorire.  In Giudea e Samaria, ad esempio,  mentre  gli Israeliani  distruggevano le strutture militari di Fatah  (le Brigate dei Martiri di Aqsa e Hamas’izz al-din al-Qassam),   Abbas non soltanto non organizzava nessuna reazione armata,  ma  ne approfittava  per   smantellare  anche i servizi sociali di Hamas. 

Nell’ultimo anno Abbas  ha collaborato con il generale americano Keith Dayton  a costruire  forze di sicurezza  palestinesi  indipendenti dalle  fazioni politiche. E ha  fatto sì che Marwan Barghouti,  capo dei Tanzim,  rimanesse ben chiuso nelle carceri di Israele,  mentre i  Tanzim  ancora in libertà sono stati  quasi esclusi  dal Comitato centrale di Fatah.        

Abbas non ha agito da solo. Dopo lo scoppio di violenza  del tardo 2000,  voluto da Arafat,  e dopo il  sostanziale fallimento  della cosiddetta seconda intifada, nel West Bank sono andati nettamente delineandosi   due  diversi  gruppi  di opinione  fra la popolazione e fra i leaders,  e anche fra  i leader  dei paesi arabi della regione:  gli ‘statisti’  e i  ‘rivoluzionari’.  Gli ‘statisti’  vogliono  creare  lo stato palestinese,  anche con  la violenza,  ma con una violenza controllata da una sola  autorità centrale.  Sono ‘statisti’ Abbas e  Muhammed Dahlan. I ‘rivoluzionari’,  rappresentati  nel West Bank soprattutto da Barghouti  e appoggiati fino all’ultimo da Arafat,   sono convinti che la  violenza  continua avrà prima o poi  la meglio su Israele,  e  che  bisogna continuare un percorso  di violenza generalizzata   fino alla vittoria.

Ironicamente la perdita  dell’accesso a  Gaza,  che è in mano ad Hamas,  ha  giocato in favore di  Abbas:  ha  isolato  i sostenitori della  ‘rivoluzione continua’  nel West Bank  dai  confratelli di Gaza,  e li ha ridotti  ad essere dipendenti   finanziariamente  dalla Autorità Palestinese,  dunque da  Abbas e  dal suo  primo ministro Salam Fayyad, che gestiscono  un budget di oltre 2 miliardi di dollari di aiuti internazionali  l’anno.

Ma Abbas non può  dirsi al riparo dai ‘rivoluzionari’. Le forze di sicurezza che l’Autorità Palestinese  aveva costruito e addestrato  durante gli anni ’90  erano largamente infiltrate dai ‘rivoluzionari’ e quando Abbas  cercò di usarle  contro Hamas  non gli obbedirono.  Ora  le nuove forze di sicurezza addestrate dagli Americani non è detto che si rivelino  certamente leali  al potere centrale  (le forze di sicurezza  irachene e afghane addestrate  dagli USA  non lo sono ).   Questo impone ad Abbas la necessità  di collaborare in qualche grado con gli Israeliani per mantenere il controllo  sui   ‘rivoluzionari’  del West  Bank .  

Tuttavia Abbas non mira alla pace, ma soltanto alla centralizzazione del potere:  il Congresso di Fatah   ha esplicitamente  e solennemente proclamato  la determinazione di Fatah a continuare la guerra contro Israele, e non si tratta di parole a vuoto.   Israele  chiede  ad  Obama  di  ottenere da Abbas  l’impegno a  discutere un piano di pace  in cambio  dell’impegno  al  congelamento degli insediamenti.  Ma Abbas non  sarà sicuramente disponibile  a  fare  nessun passo avanti verso la pace:  gli interessa soltanto  costruire  le istituzioni dello  stato e  il  proprio potere  al cuore dello stato,  e finchè non ci sarà riuscito   ha  interesse a mantenere lo status quo nel West Bank,  sia perché la presenza d’Israele gli garantisce la difesa dai ‘rivoluzionari’,  sia perché  perderebbe la faccia  con il proprio popolo se  cercasse la pace ora.

E’ un situazione che al momento  va benissimo  anche ad Israele.   Abbas e Israele e molti leader  arabi temono l’Iran e le milizie rivoluzionarie  sostenute dall’Iran  a Gaza e in Libano,  più  che il conflitto  di fondo  fra Israeliani e  Palestinesi.  Il  conflitto  locale può attendere.

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