Riassunto da una analisi del prof Hillel Frisch della Bar Ilan University per il BESA (Begin-Sadat) Center for Strategic Studies, del 25 agosto 2009.
Il Congresso di Fatah di agosto 2009 è il primo dopo 20 anni, ed ha finalmente visto il successo politico di Abbas. A Ramallah Abbas è riuscito a manovrare il Congresso in modo da raccogliere il consenso attorno alla propria persona ed al proprio programma, e isolare gli oppositori interni.
Negli ultimi anni Abbas ha perseguito dietro le quinte una politica di costruzione delle istituzioni dello stato, alle spese delle strutture politiche e terroristiche che Arafat aveva lasciato fiorire. In Giudea e Samaria, ad esempio, mentre gli Israeliani distruggevano le strutture militari di Fatah (le Brigate dei Martiri di Aqsa e Hamas’izz al-din al-Qassam), Abbas non soltanto non organizzava nessuna reazione armata, ma ne approfittava per smantellare anche i servizi sociali di Hamas.
Nell’ultimo anno Abbas ha collaborato con il generale americano Keith Dayton a costruire forze di sicurezza palestinesi indipendenti dalle fazioni politiche. E ha fatto sì che Marwan Barghouti, capo dei Tanzim, rimanesse ben chiuso nelle carceri di Israele, mentre i Tanzim ancora in libertà sono stati quasi esclusi dal Comitato centrale di Fatah.
Abbas non ha agito da solo. Dopo lo scoppio di violenza del tardo 2000, voluto da Arafat, e dopo il sostanziale fallimento della cosiddetta seconda intifada, nel West Bank sono andati nettamente delineandosi due diversi gruppi di opinione fra la popolazione e fra i leaders, e anche fra i leader dei paesi arabi della regione: gli ‘statisti’ e i ‘rivoluzionari’. Gli ‘statisti’ vogliono creare lo stato palestinese, anche con la violenza, ma con una violenza controllata da una sola autorità centrale. Sono ‘statisti’ Abbas e Muhammed Dahlan. I ‘rivoluzionari’, rappresentati nel West Bank soprattutto da Barghouti e appoggiati fino all’ultimo da Arafat, sono convinti che la violenza continua avrà prima o poi la meglio su Israele, e che bisogna continuare un percorso di violenza generalizzata fino alla vittoria.
Ironicamente la perdita dell’accesso a Gaza, che è in mano ad Hamas, ha giocato in favore di Abbas: ha isolato i sostenitori della ‘rivoluzione continua’ nel West Bank dai confratelli di Gaza, e li ha ridotti ad essere dipendenti finanziariamente dalla Autorità Palestinese, dunque da Abbas e dal suo primo ministro Salam Fayyad, che gestiscono un budget di oltre 2 miliardi di dollari di aiuti internazionali l’anno.
Ma Abbas non può dirsi al riparo dai ‘rivoluzionari’. Le forze di sicurezza che l’Autorità Palestinese aveva costruito e addestrato durante gli anni ’90 erano largamente infiltrate dai ‘rivoluzionari’ e quando Abbas cercò di usarle contro Hamas non gli obbedirono. Ora le nuove forze di sicurezza addestrate dagli Americani non è detto che si rivelino certamente leali al potere centrale (le forze di sicurezza irachene e afghane addestrate dagli USA non lo sono ). Questo impone ad Abbas la necessità di collaborare in qualche grado con gli Israeliani per mantenere il controllo sui ‘rivoluzionari’ del West Bank .
Tuttavia Abbas non mira alla pace, ma soltanto alla centralizzazione del potere: il Congresso di Fatah ha esplicitamente e solennemente proclamato la determinazione di Fatah a continuare la guerra contro Israele, e non si tratta di parole a vuoto. Israele chiede ad Obama di ottenere da Abbas l’impegno a discutere un piano di pace in cambio dell’impegno al congelamento degli insediamenti. Ma Abbas non sarà sicuramente disponibile a fare nessun passo avanti verso la pace: gli interessa soltanto costruire le istituzioni dello stato e il proprio potere al cuore dello stato, e finchè non ci sarà riuscito ha interesse a mantenere lo status quo nel West Bank, sia perché la presenza d’Israele gli garantisce la difesa dai ‘rivoluzionari’, sia perché perderebbe la faccia con il proprio popolo se cercasse la pace ora.
E’ un situazione che al momento va benissimo anche ad Israele. Abbas e Israele e molti leader arabi temono l’Iran e le milizie rivoluzionarie sostenute dall’Iran a Gaza e in Libano, più che il conflitto di fondo fra Israeliani e Palestinesi. Il conflitto locale può attendere.
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