L'embargo petrolifero aiuterebbe Ahmadinejad
Lo sostengono il prof Trita Parsi e e il prof Hossein Askari in un articolo apparso il 14 agosto 2009 sul New York Times
(http://www.nytimes.com/2009/08/15/opinion/15iht-edaksari.html),
facendo seguito a un articolo di Trita parsi apparso su Foreign.Policy
(http://www.foreignpolicy.com/articles/2009/07/30/make_them_wait)
L'embargo petrolifero per essere efficace richiede il blocco navale, che è un atto di guerra, e come tale richiede l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza ONU: processo lungo e tortuoso, che offre tanto tempo alla propaganda di Ahmadinejad di raccogliere attorno a sé consensi di massa, sollecitando il patriottismo degli iraniani contro l'occidente che minaccia una aggressione.
Inoltre l'Iran spende molto per importare i combustibili raffinati, perché ha il petrolio ma non ha raffinerie. La benzina viene poi venduta sul mercato domestico in perdita, a prezzo sussidiato. Lo stato perde circa 0,40 USD al litro sulla benzina usata dagli Iraniani. L'embargo petrolifero danneggerebbe il popolo iraniano, ma farebbe risparmiare soldi allo stato. Il governo iraniano tenta da tempo di alzare il prezzo della benzina per auto, ma non riesce a farlo perché la popolazione è profondamente ostile a tale provvedimento. In caso di embargo, il governo potrebbe alzare i prezzi senza pagare nessun prezzo politico all'interno, riversandone la colpa sull'Occidente agli occhi della popolazione.
I due autori sostengono inoltre che non sono le difficoltà economiche ad aver scatenato la rivolta in Iran lo scorso luglio, ma la delusione dopo le elezioni per il mancato cambiamento. Minacce dall'estero offrirebbero ad Ahmadinejad l'argomento ideale per sanare anche la frattura all'interno dell'establishment: nessun personaggio iraniano di spicco oserebbe pronunciarsi in favore delle sanzioni contro il proprio paese.
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