La politica estera di Obama
da una analisi di George Friedman per Strategic Forecast, del 24 agosto 2009.

30/08/2009

'La fine dell'inizio'  è il titolo dato da G: Friedman alla sua analisi.

 Nei  primi mesi di incarico ogni nuovo Presidente  mette a punto  la  propria  squadra, incontra e valuta personalmente   i premier dei principali paesi del mondo,  tasta il  terreno,   e nel frattempo evita iniziative  che costituiscano un  cambiamento certo di rotta  rispetto al predecessore, a meno che non vi sia  costretto dagli eventi,  come  fu George Bush  l'11 settembre del 2001. 

Nellagosto-settembre successivo  all'elezione  ogni Presidente americano mette a punto le linee di politica estera che caratterizzeranno la sua presidenza. 

Secondo  Friedman  è ormai chiaro che, al di là delle differenze di stile e di linguaggio,  le linee strategiche di politica estera  di Obama  costituiscono   la continuazione  della politica di Bush,  perchè le situazioni reali  non permettono di variarle.

 Durante la campagna elettorale Obama  ha promesso:

 - di uscire dall'Iraq,

- di vincere in Afghanistan,  coinvolgendo a fondo gli alleati europei, 

- di  avere  relazioni  distese  con la Russia,

- di avere relazioni più amichevoli con il mondo islamico. 

 A che punto siamo?

 In Iraq  si è  accelerato di qualche settimana il rientro delle truppe nelle basi militari,  ma non  è stato cambiato nulla  rispetto al programma messo a punto dal generale Petraeus  e approvato da Bush.   Nè si stanno  pianificando variazioni per il futuro. 

 In Afghanistan  si sta applicando esattamente il piano   già approvato da Bush,  su suggerimento del generale Petraeus.  Obama ha tentato di  ottenere  un maggiore coinvolgimento degli Europei, soprattutto da  Germania e  Francia, ma entrambi i paesi hanno opposto un  netto rifuto,  nonostante  il grande entusiasmo per  lo stile  del nuovo Presidente  e  le grandi profferte di amicizia reciproca.   L'Inghilterra addirittura sta  pianificando una riduzione di truppe.   E' chiaro che  gli USA  rimarranno in Afghanistan  finchè la situazione politica locale non permetterà  di  ritirarsi senza lasciare  il paese  nelle mani di fondamentalisti terroristi.  L'unica cosa  che è cambiata   negli ultimi mesi è che adesso il Pakistan sembra  partecipare alla  lotta contro i terroristi,  e  i rapporti fra India e Pakistan  sono un  po' meno sospettosi.

 Il tentativo di  intavolare rapporti più distesi con la Russia  e  di ottenerne la collaborazione  per i rifornimenti alle truppe  in Afghanistan è fallito  perchè, al di là delle buone parole,  Obama ed i suoi consiglieri non avevano intenzione di cambiare la sostanza della politica degli USA,   che la Russia  non  tollera:  il diritto  americano di intrattenere rapporti  bilaterali  diretti - diplomatici, economici, militari,  culturali -  con   i paesi  che  facevano parte dell'Unione Sovietica e che confinano con la Russia.

 In quanto alle relazioni  con il mondo islamico,  Obama ha teso la mano,  ha fatto  discorsi  accattivanti,  ha  mostrato  più flessibilità a parole,  fino al punto di allarmare  Israele,    ma  non ha   cambiato in nessun modo non soltanto  gli accordi militari  ed economici precedenti,   ma neppure le  posizioni ufficiali.  Anche per la questione  degli insediamenti israeliani  nei territori  oltre la linea verde  nella sostanza nulla è cambiato:  anche   gli USA di Bush chiedevano il congelamento degli insediamenti,  ma  non  lo ripetevano  spesso,  nè a voce molto alta.  Obama ora lo ripete a voce più alta,  ma non  ha preso provvedimenti  per  limitare la cooperazione con Israele,  nè ha minacciato di prenderli in futuro.

Friedman conclude  che la politica estera di Obama è  avviata  a seguire la strada della necessità, non quella dell'utopia. 

E per questo  segue la strada  già  segnata da Bush,  in base alla stessa  necessità. 

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