'La fine dell'inizio' è il titolo dato da G: Friedman alla sua analisi.
Nei primi mesi di incarico ogni nuovo Presidente mette a punto la propria squadra, incontra e valuta personalmente i premier dei principali paesi del mondo, tasta il terreno, e nel frattempo evita iniziative che costituiscano un cambiamento certo di rotta rispetto al predecessore, a meno che non vi sia costretto dagli eventi, come fu George Bush l'11 settembre del 2001.
Nellagosto-settembre successivo all'elezione ogni Presidente americano mette a punto le linee di politica estera che caratterizzeranno la sua presidenza.
Secondo Friedman è ormai chiaro che, al di là delle differenze di stile e di linguaggio, le linee strategiche di politica estera di Obama costituiscono la continuazione della politica di Bush, perchè le situazioni reali non permettono di variarle.
Durante la campagna elettorale Obama ha promesso:
- di uscire dall'Iraq,
- di vincere in Afghanistan, coinvolgendo a fondo gli alleati europei,
- di avere relazioni distese con la Russia,
- di avere relazioni più amichevoli con il mondo islamico.
A che punto siamo?
In Iraq si è accelerato di qualche settimana il rientro delle truppe nelle basi militari, ma non è stato cambiato nulla rispetto al programma messo a punto dal generale Petraeus e approvato da Bush. Nè si stanno pianificando variazioni per il futuro.
In Afghanistan si sta applicando esattamente il piano già approvato da Bush, su suggerimento del generale Petraeus. Obama ha tentato di ottenere un maggiore coinvolgimento degli Europei, soprattutto da Germania e Francia, ma entrambi i paesi hanno opposto un netto rifuto, nonostante il grande entusiasmo per lo stile del nuovo Presidente e le grandi profferte di amicizia reciproca. L'Inghilterra addirittura sta pianificando una riduzione di truppe. E' chiaro che gli USA rimarranno in Afghanistan finchè la situazione politica locale non permetterà di ritirarsi senza lasciare il paese nelle mani di fondamentalisti terroristi. L'unica cosa che è cambiata negli ultimi mesi è che adesso il Pakistan sembra partecipare alla lotta contro i terroristi, e i rapporti fra India e Pakistan sono un po' meno sospettosi.
Il tentativo di intavolare rapporti più distesi con la Russia e di ottenerne la collaborazione per i rifornimenti alle truppe in Afghanistan è fallito perchè, al di là delle buone parole, Obama ed i suoi consiglieri non avevano intenzione di cambiare la sostanza della politica degli USA, che la Russia non tollera: il diritto americano di intrattenere rapporti bilaterali diretti - diplomatici, economici, militari, culturali - con i paesi che facevano parte dell'Unione Sovietica e che confinano con la Russia.
In quanto alle relazioni con il mondo islamico, Obama ha teso la mano, ha fatto discorsi accattivanti, ha mostrato più flessibilità a parole, fino al punto di allarmare Israele, ma non ha cambiato in nessun modo non soltanto gli accordi militari ed economici precedenti, ma neppure le posizioni ufficiali. Anche per la questione degli insediamenti israeliani nei territori oltre la linea verde nella sostanza nulla è cambiato: anche gli USA di Bush chiedevano il congelamento degli insediamenti, ma non lo ripetevano spesso, nè a voce molto alta. Obama ora lo ripete a voce più alta, ma non ha preso provvedimenti per limitare la cooperazione con Israele, nè ha minacciato di prenderli in futuro.
Friedman conclude che la politica estera di Obama è avviata a seguire la strada della necessità, non quella dell'utopia.
E per questo segue la strada già segnata da Bush, in base alla stessa necessità.
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