7 settembre 2009
Nel corso degli ultimi anni si è parlato più volte di un attacco da parte dell’aviazione americana agli impianti nucleari iraniani, ma l’esecuzione ne sarebbe molto difficile, per molte ragioni.
In primis l’Iran controlla il traffico delle petroliere nel Golfo Persico, e in caso di attacco potrebbe bloccare lo stretto di Hormuz e usare i missili contro le petroliere dirette in Occidente. Oppure potrebbe servirsi della propria influenza per destabilizzare il vicino Iraq, o per lanciare attacchi contro Israele dal Libano e dalla striscia di Gaza grazie ai legami con Hezbollah e Hamas o addirittura effettuare attacchi terroristici in altre parti del mondo – come avvenuto all’inizio degli anni ’90 in Argentina contro l’ambasciata israeliana e il centro culturale ebraico.
Teheran ha osservato con attenzione l’atteggiamento della comunità internazionale – specialmente quello di Stati Uniti e di Israele – nei confronti dell’Iraq di Saddam Hussein e ricorda ancora bene sia l’attacco israeliano contro il reattore di Osirak del 1981 che le operazioni Tempesta nel Deserto e Iraqi Freedom – capeggiate dagli Stati Uniti - del 1991 e del 2003.
Nel corso degli anni l’Iran non solo ha rinforzato i suoi principali impianti nucleari, ma ha anche creato dei doppioni per ingannare gli ispettori che hanno il compito di effettuare i controlli.
Quindi la comunità internazionale deve considerare diversi aspetti prima di prendere una decisione:
· deve capire come lanciare attacchi efficaci contro le strutture rinforzate;
· deve individuare con precisione gli obiettivi;
· deve evitare di farsi ingannare dalla Repubblica Islamica.
Come distruggere gli impianti?
Alla fine degli anni ’80 Saddam Hussein costruì una serie di bunker alla periferia di Baghdad per difendersi dai missili americani BLU-109, che erano i più penetranti. Durante l’operazione Tempesta nel Deserto gli Stati Uniti si resero conto che effettivamente i BLU-109, pur colpendo l’obiettivo, non riuscivano a distruggere i bunker. Nell’arco di poche settimane l’aviazione americana e l’industria bellica idearono e costruirono nuovi missili, i BLU-113 (con un’alta capacità di penetrazione) grazie ai quali gli Stati Uniti riuscirono a distruggere i bunker di Saddam Hussein.
Ma a differenza dell’Iraq l’Iran è quasi interamente montuoso, ed è quindi molto più semplice nascondere sottoterra i materiali. E quasi certamente i bunker nucleari iraniani sono stati rinforzati a dovere negli ultimi anni in previsione di un attacco esterno.
Recentemente è stato costruito un ordigno capace di penetrare molto a fondo, il cosiddetto MOP, che rappresenta una minaccia concreta per i bunker iraniani. Tuttavia il numero di MOP in circolazione è piuttosto limitato – non sufficiente per un attacco multiplo – perché la costruzione di tali ordigni richiede parecchio tempo.
Gli Stati Uniti non sanno di preciso quale sia il livello di resistenza degli impianti nucleari iraniani ed è per questo che finora hanno evitato di lanciarsi in una campagna aerea dall’esito incerto.
Come individuare gli obiettivi?
Alcuni impianti nucleari sono decisamente imponenti e facilmente identificabili e, nonostante la presenza di sistemi di difesa antimissile, sono piuttosto vulnerabili agli attacchi aerei. Per arricchire l’uranio al punto da riuscire ad alimentare un reattore da un gigawatt è necessario costruire grandi infrastrutture - normalmente collegate ad una rete di trasporto energetico preesistente - che difficilmente possono essere nascoste ai satelliti spaziali statunitensi. Il reattore di Bushehr ad esempio si trova in superficie ed è vulnerabile ad attacchi convenzionali.
Diversi impianti iraniani però – ad esempio le centrifughe di Natanz – sono stati costruiti sottoterra e rinforzati a dovere. Ed è sottoterra - in posti difficilmente rintracciabili - che si trova la maggior parte degli impianti clandestini per la produzione della bomba atomica. Perciò per ottenere maggiori informazioni sul programma nucleare è necessario individuare gli scienziati e gli ingegneri che vi lavorano, il che richiede un lavoro di intelligence decisamente accurato.
E la buona riuscita di un lavoro di intelligence dipende anche dalla capacità di sviare le misure preventive dell’avversario. Quindi non basta semplicemente rintracciare gli impianti attivi, ma bisogna anche assicurarsi che le informazioni ottenute siano attendibili.
Il lavoro di intelligence
La Repubblica Islamica è dotata di servizi segreti alquanto scaltri e preparati, sia in patria che all’estero, nonché di organi di sicurezza piuttosto efficienti.
L’Iran appoggia gruppi di estremisti sciiti in Iraq e movimenti radicali in Libano (Hezbollah) e nei Territori Palestinesi (Hamas). Grazie all’aiuto di Teheran, Hezbollah da semplice gruppo terroristico si è trasformato in una potente milizia, più forte dell’esercito libanese stesso.
In Iraq la Repubblica Islamica ha aiutato gli sciiti a consolidare la presa sul governo. Inoltre pur non intrattenendo relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti l’Iran è riuscito a manipolare le informazioni che arrivano a Washington.
I mullah si servirono infatti di Ahmed Chalabi, politico sciita iracheno in esilio che intratteneva stretti legami con diverse figure all’interno dell’amministrazione Bush, per inviare false informazioni sulle armi di distruzione di massa del regime iracheno e condizionare le decisioni statunitensi sull’Iraq. Di certo Teheran non ha orchestrato la guerra, ma ha cercato in ogni modo di fornire a Washington un “casus belli”.
Prospettive possibili.
Gli sforzi iraniani di cancellare o nascondere le prove del proprio programma nucleare mettono in seria difficoltà gli Stati Uniti. Data la scarsa disponibilità di informazioni e i continui tentativi della Repubblica Islamica di falsare le carte, Washington non riesce a fare una stima precisa dei vantaggi e degli svantaggi di un eventuale attacco aereo.
Inoltre il fatto che la Repubblica Islamica abbia a disposizione un ventaglio di contromosse attuabili immediatamente in caso di attacco rende l’eventualità di un intervento militare ancora meno plausibile.
In un contesto simile l’amministrazione Obama, che si trova già alle prese con altri problemi - come la crisi economica - difficilmente deciderà di intervenire, a meno che non sia strettamente necessario.
A cura di Davide Meinero
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