L'importanza di vincere in Afghanistan

10/09/2009

Visto il recente aumento del numero delle vittime e la deludente affluenza alle urne alle ultime elezioni, in Occidente stanno aumentando le pressioni di coloro che premono per un immediato ritiro dall’Afghanistan. Ma quali conseguenze avrebbe una scelta di questo tipo?
 
In un articolo pubblicato il 3 settembre sul Wall Street Journal l’analista Max Boot descrive le conseguenze che ci attendono se una scelta simile si concretizza. Secondo l’autore il ritiro al momento attuale equivarrebbe ad una sconfitta, e gli strascichi sarebbero indubbiamente drammatici. I Talebani si riprenderebbero immediatamente Kandahar, la principale città meridionale, per dirigersi poi verso Herat, Kabul e gli altri centri urbani, mettendo così le mani su un’ampia porzione del paese. Con ogni probabilità soltanto il Nord ha le forze per resistere all’espansione talebana –  nemmeno prima del 2001 la parte settentrionale del paese era caduta nelle mani dei Talebani.
 
L’impatto sul Pakistan sarebbe altrettanto devastante. Fino ad oggi gli Stati Uniti sono riusciti a colpire le roccaforti di al Qaeda in Pakistan anche grazie alle basi militari presenti in Afghanistan. Islamabad, nonostante il maggior impegno contro i terroristi dimostrato durante le operazioni nelle Aree Tribali, non ha mai deciso di cambiare rotta e di tagliare del tutto i legami con i jihadisti, per due ragioni fondamentali:
·         primo, l’ISI (servizi segreti pakistani) ha sempre fatto affidamento sui fondamentalisti per contrastare l’India in Jammu e Kashmir;
·         secondo, il governo pakistano crede che gli Stati Uniti non siano disposti a fermarsi nella regione abbastanza tempo e teme di ritrovarsi accerchiato dai nemici (anche interni) che avrebbero probabilmente la meglio a lungo termine. 
 
In caso di ritiro delle forze della coalizione, i Pakistani sarebbero senza dubbio spinti a stringere nuovi patti con i miliziani islamici per sopravvivere, il che renderebbe ancora più agevoli le attività dei Talebani al di là del confine. Nell’arco di breve tempo i jihadisti sarebbero in grado non solo di rovesciare il governo di Kabul, ma anche di riaprire i campi di addestramento ed organizzare nuovi atti di terrorismo a livello internazionale.
 
Boot sostiene quindi la necessità di non mollare proprio ora, dato che sono comunque stati raggiunti notevoli risultati. Come sottolinea il giornalista Peter Bergen in un recente articolo pubblicato sulla CNN, vi sono alcuni aspetti positivi che non vanno sottovalutati:
 
·         un sesto degli Afghani ora dispone di un telefono cellulare – sotto i Talebani non ne circolavano affatto;
·         milioni di ragazzi hanno libero accesso all’istruzione, fra cui molte ragazze – cui fu vietato l’accesso alle scuole fra il 1996 e il 2001;
·         la crescita del PIL nel 2008 è stata pari al 7,5%, mentre prima del 2001 era praticamente nulla.
 
Inoltre i Talebani non godono del sostegno della popolazione. Secondo un sondaggio dell’International Republican Institute effettuato su 2.400 Afghani, solo il 19% vedeva i Talebani di buon occhio, mentre l’82% aveva una buona opinione dell’esercito nazionale afgano. Un altro sondaggio effettuato dalla BBC a inizio anno rivelava che soltanto il 4% della popolazione è favorevole al ritorno dei Talebani.
 
In conclusione, la strategia elaborata dal generale Stanley McChrystal richiederà senz’altro molto tempo e un’ingente quantità di risorse. Ma soltanto con la perseveranza sarà possibile evitare il peggio e creare un’opportunità di vita al governo afgano.
 
A cura di Davide Meinero

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