20 settembre 2009
Alcuni episodi di antiamericanismo in Turchia fanno riflettere sulle responsabilità del governo turco e sul ruolo che la politica riveste nella sfera dell’informazione.
Il caso più recente riguarda il
rapporto del Consiglio Atlantico uscito nel giugno del 2009, che consiglia la strategia da seguire per migliorare i rapporti fra Turchi e Curdi. Il rapporto è stato aspramente criticato dalla popolazione turca, perché percepito come un vile tentativo da parte degli Stati Uniti di spingere il Partito Giustizia e Sviluppo (AK) ad un’apertura verso i Curdi - che potrebbe avere conseguenze “negative” sul paese.
Viene da chiedersi per quale motivo la reazione sia stata così dura. La ragione va cercata nel cosiddetto incidente dell’
Hudson Institute nel giugno 2007.
Allora il partito AK cercò di screditare un’iniziativa organizzata all’Hudson Institute, cui partecipò l’esercito turco, mettendo in circolazione una voce – falsa –
secondo cui i militari turchi – che difendono sin dalle origini la Turchia dal rischio di derive islamiste –
si erano riuniti a Washington per ordire un complotto contro il partito AK coinvolgendo anche il Partito dei Lavoratori Curdo (PKK).
Grazie all’aiuto dei mezzi di informazione e alla retorica del governo la notizia si diffuse a macchia d’olio: presto
gli Stati Uniti si guadagnarono la reputazione di complottisti e la l’esercito turco fu coperto di infamia – questo avvenne in un periodo chiave della vita politica turca, subito prima delle elezioni del 2007.
D’altronde negli ultimi tempi la libertà di stampa in Turchia ha fatto notevoli passi indietro. Ad esempio la scorsa primavera il governo turco si è scagliato duramente contro l’agenzia
Dogan – proprietaria di quotidiani, editoriali e televisioni fra cui la filiale turca della CNN – perché nel periodo pre-elettorale
si era “permessa” di rendere noto un caso di corruzione di un’organizzazione caritatevole legata al partito AK. Dopo un aspro battibecco con Erdogan,
Dogan è stata sottoposta alle indagini degli ispettori ed è stata multata per una cifra folle di 2,5 miliardi di dollari.
Il governo ha poi inserito membri di una nuova classe imprenditoriale fedelissima all’AK negli organi di informazione ed il risultato è stato eccellente: attualmente infatti
oltre la metà dei giornali e dei mezzi di informazione hanno una linea filo-governativa.
Le regole di sopravvivenza sono piuttosto chiare:
è vietato criticare il primo ministro ed il governo per aver tentato di introdurre l’Islam nella sfera pubblica della Turchia – notoriamente laica e secolare sin dai tempi di Ataturk.
Anche in passato la stampa non godeva di assoluta libertà, ma finora i principali mezzi di informazione non erano ancora stati attaccati.
Erdogan ha senza dubbio saputo distinguersi per alcune scelte rivoluzionarie – come il riconoscimento dei diritti delle minoranze e il riavvicinamento fra Turchia e Armenia –
ma non perde un’occasione per scagliarsi contro i media che non condividono la sua linea politica. Va inoltre sottolineato che i mezzi di informazione in Turchia sono quasi tutti nelle mani di imprenditori che nutrono altri interessi economici - e che per questo sono particolarmente suscettibili a pressioni.
Il governo però si trova a dover affrontare le conseguenze di questa politica sconsiderata, come dimostra il recente caso del Consiglio Atlantico.
Erdogan infatti vorrebbe seguire i consigli statunitensi, ma rischia di alienarsi l’appoggio della popolazione e non sa quindi come agire.
Questo episodio dimostra che una volta che i semi dell’antiamericanismo sono stati seminati, è quasi impossibile eliminarli, e ormai anche l’AK sembra essersene reso conto.
A cura di Davide Meinero
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