20 ottobre 2009
Per capire come cambieranno le regole di voto dell’Unione Europea con l’adozione del Trattato di Lisbona è necessario capire le differenze fra il meccanismo nato con l’introduzione del Trattato di Nizza (attualmente in vigore) e quello che verrà adottato in futuro.
Con l’attuale sistema, benché ogni stato teoricamente ‘pesi’ in base alla popolazione,
gli stati piccoli e medi contano molto di più, in proporzione alla loro popolazione. Infatti una mozione per passare deve ottenere l’approvazione di almeno il 74% della popolazione complessiva e della maggioranza semplice degli stati membri (ad esempio 14 sugli attuali 27).
Con l’introduzione del Trattato di Lisbona questo meccanismo cambierà e ogni stato voterà esclusivamente in base alla propria popolazione - così gli stati piccoli e medi perderanno i loro privilegi. In concreto questo significa che ad esempio il peso del voto della Germania passerà dal 8,4% del Trattato di Nizza al 16,8% del Trattato di Lisbona. Una mozione dovrà essere approvata dal 65% della popolazione complessiva e da una maggioranza del 55% dei paesi membri (attualmente da 15 dei 27 stati).
Le nuove regole favoriranno senza ombra di dubbio gli stati che si battono per la creazione di un’Unione Europea forte, mentre i paesi euroscettici, che finora potevano unirsi in coalizione per aumentare il loro potere negoziale e condizionare la politica di Bruxelles, ne usciranno decisamente indeboliti.
Osservando la tabella qui a lato (
fonte: Strategic Forecast) possiamo notare che gli stati favorevoli ad un’UE forte (in blu e in verde scuro), guidati da Francia e Germania, conteranno per oltre il 43% dei voti, mentre i paesi euroscettici (in rosso) e i paesi che guardano con una certa diffidenza alla leadership franco tedesca (in giallo) a malapena raggiungeranno il 36% tutti insieme (14 stati). Questo significa che questi ultimi dovranno essere assolutamente concordi se vorranno bloccare eventuali proposte di legge.
In conclusione,
se Francia e Germania riusciranno a mettere da parte le loro differenze e a trovare una linea comune, potranno tranquillamente guidare le politiche dell’Unione Europea grazie all’adozione del Trattato di Lisbona.
Ostacoli all’orizzonte
La Repubblica Ceca e la Slovacchia hanno recentemente chiesto a Bruxelles di essere esonerati dalla Carta per i Diritti Fondamentali - che fa parte del Trattato di Lisbona –
perché temono di finire di fronte alla Corte di Giustizia Europea a causa del decreto di Benes,
che all’indomani della Seconda Guerra Mondiale sancì l’espulsione di tre milioni di Tedeschi dei Sudeti dal suolo cecoslovacco (
vedi mappa a lato, in alto).
Il presidente ceco Klaus – noto euroscettico, unico in Europa a non aver ancora firmato il Trattato di Lisbona – insieme ad un manipolo di senatori a lui fedeli aveva già portato il Trattato di Lisbona di fronte alla Corte di Giustizia Ceca accusandolo di violare la sovranità della Repubblica Ceca, e le preoccupazioni legate al
decreto di Benes non fanno che ritardare ulteriormente il processo di ratifica.
Questo problema rischia di innescare una reazione a catena, dato che altri stati dell’Europa centrale ed orientale presero provvedimenti simili contro i Tedeschi dichiarandoli ospiti non graditi – come Slovenia, Romania e Ungheria.
Per evitare che il Trattato di Lisbona subisca ulteriori rallentamenti,
Bruxelles con ogni probabilità darà tutte le garanzie necessarie a Cechi e Slovacchi cercando di non emendare il Trattato – operazione molto lunga che richiederebbe l’approvazione di tutti gli stati membri.
Con ogni probabilità il Consiglio d’Europa rassicurerà Praga e Bratislava impegnandosi ad inserire le nuove clausole la prossima volta che i governi dovranno apportare cambiamenti al Trattato – probabilmente nel 2012, quando la Croazia entrerà nell’Unione.
A cura di Davide Meinero
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