27 ottobre 2009
La settimana scorsa il vicepresidente Joe Biden si è recato in visita in Europa centrale, toccando diversi paesi fra cui la Polonia, la Repubblica Ceca e la Romania. Durante l’incontro con i vertici polacchi Biden ha affermato che gli Stati Uniti continueranno ad aiutare Varsavia ed ha promesso di inviare nuovi armamenti a breve, fra cui una batteria di missili Patriot. Il vicepresidente è volato poi in Romania, dove ha dichiarato che Washington non ha nessuna intenzione di accettare l’egemonia russa sugli stati dell’ex Unione Sovietica ed ha invitato gli ex paesi satelliti ad aiutare i movimenti democratici delle ex repubbliche sovietiche nella lotta per l’indipendenza e per la libertà contro i regimi autoritari.
Con ogni probabilità Washington ha deciso di inviare un messaggio forte alla Russia, per segnalare il dispiacere per la mancata collaborazione sul nucleare iraniano, anche dopo che gli Stati Uniti hanno rinunciato al sistema antimissili balistici nell’Europa centrale. Il Cremlino ha reagito negativamente alle dichiarazioni di Biden e teme – a ragione – che Washington faccia tutto ciò che è in suo potere per bloccare l’espansionismo russo.
La rinascita russa.
Con gli Stati Uniti troppo impegnati in Afghanistan e in Iraq per essere presenti su altri fronti di crisi, la Russia ha elaborato un’efficiente strategia per ritornare agli antichi splendori e riguadagnare influenza sui paesi alla sua periferia, persa all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica.
Negli ultimi anni Mosca ha sempre fornito assistenza a Teheran, ha collaborato con gli scienziati nucleari iraniani, ha venduto armi agli ayatollah e ne ha coperto le attività illecite al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite utilizzando il potere di veto. Gli Stati Uniti non sempre sono riusciti a contrastare adeguatamente le attività criminose del regime dei mullah, soprattutto per colpa degli aiuti russi. L’amministrazione Obama vorrebbe evitare la guerra e creare invece una coalizione di nazioni unite contro l’Iran per costringerlo una volta per tutte alla resa. Ma senza la collaborazione del Cremlino è impensabile mettere in atto una strategia simile.
La Russia nel frattempo è riuscita con successo a riconquistare una buona fetta del potere perduto grazie ad alcuni passi strategici fondamentali.
· L’Ucraina - importante baluardo strategico contro l’Occidente - che nel 2005 aveva visto l’ascesa del presidente filoccidentale Viktor Yushchenko (Rivoluzione Arancione), sembra ormai aver abbandonato i desideri di indipendenza. Con un intenso lavoro di intelligence la Russia è riuscita a screditare il presidente in carica e con ogni probabilità alle prossime elezioni – previste per il 2010 – vincerà una coalizione filorussa.
· Il Cremlino sta stringendo la presa sul Caucaso meridionale attraverso un’abile operazione diplomatica. Negli scorsi mesi infatti la Russia, che intrattiene stretti legami con l’Armenia, ha organizzato i colloqui per il riavvicinamento fra Ankara ed Erevan. L’Azerbaigian però, alleato della Turchia sin dai primi anni ’90 e nemico dell’Armenia, ha vissuto questo evento come un tradimento e si è rivolto per aiuto alla Russia. In conclusione, ora la Russia non soltanto può contare sull’appoggio di Armenia e Turchia – che confidano nell’abilità diplomatica del Cremlino - ma anche su quello di Baku. Quindi la Georgia, unico paese che ancora sfugge alla presa di Mosca, si ritrova inesorabilmente accerchiata (vedi mappa a lato).
· Mosca è riuscita a guadagnarsi l’appoggio di Berlino. Storicamente Russia e Germania non sono mai andate particolarmente d’accordo, ma negli ultimi tempi questa situazione è cambiata. Nel 2009 infatti, nonostante la crisi economica, il Cremlino ha salvato la Opel – sull’orlo della bancarotta - aiutando indirettamente la Merkel a vincere nuovamente le elezioni. La Russia inoltre si è offerta di aiutare quelle aziende tedesche che investono in Russia – Siemens, E.On, Volkswagen, etc.
Cambio di strategia.
Di fronte a questa situazione gli Stati Uniti sono stati costretti a cambiare rotta ed a contrastare più aggressivamente i Russi per spingerli sulla difensiva ed evitare che si immischino troppo negli affari mediorientali. I paesi dell’Europa centrale ed orientale, schiacciati dal giogo sovietico per cinquant’anni e sempre più preoccupati dell’alleanza russo-tedesca, con ogni probabilità saranno a fianco di Washington nel tentativo di frenare l’avanzata russa.
Attualmente i negoziati sul nucleare con l’Iran proseguono, ma è difficile capire quale sarà l’esito. È probabile che gli Iraniani, proprio come in passato, stiano soltanto cercando di guadagnare un po’ di tempo prima di abbandonare nuovamente il tavolo dei negoziati.
Non è da escludere che con le dichiarazioni di Biden l’amministrazione statuintense abbia voluto comunicare alla Russia – e all’Iran - che gli Stati Uniti ritengono di non aver più bisogno della collaborazione russa nei negoziati con l’Iran. Se così fosse, questo significherebbe che Washington sta per rinunciare all’arma diplomatica, e quindi rimarrebbero soltanto due opzioni sul tappeto: accettare la bomba atomica iraniana o attaccare militarmente l’Iran.
Il ruolo della Turchia
Ieri sera il premier turco Erdogan è volato a Teheran per incontrare il governo iraniano e discutere delle trattative in corso fra la Repubblica Islamica e la comunità internazionale. Ankara infatti sta cercando di proporsi come valido mediatore fra Iran e Stati Uniti, e subito dopo l’attuale visita il premier turco volerà a Washington.
Negli ultimi mesi il governo turco ha fatto di tutto per prendere le distanze dall’Occidente - criticando ferocemente l’operazione Piombo Fuso lanciata da Israele contro Hamas nella striscia di Gaza, annullando l’esercitazione “Aquila dell’Anatolia” e dichiarando che il programma nucleare iraniano ha certamente scopi pacifici. Tuttavia l’Iran non si fida molto dei Turchi, perché fanno tuttora parte della NATO e sono alleati degli Stati Uniti.
Da tempo la Turchia sta cercando di riaffermarsi come leader del mondo islamico e l’ultima cosa che vorrebbe vedere è lo scoppio di un nuovo conflitto in Medio Oriente, che bloccherebbe i piani espansionistici del partito AK al potere.
A cura di Davide Meinero
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