3 novembre 2009
Dopo trent’anni di lotta armata contro i separatisti curdi, la Turchia ha deciso di cambiare strategia. Recentemente il governo ha permesso a 8 membri del PKK e a 26 profughi curdi scappati nell’Iraq settentrionale nei primi anni ’90 di ritornare in Turchia. Si tratta di una decisione coraggiosa e politicamente rischiosa.
La leadership politica e militare turca non ha mai accettato prima d’ora il rientro dei miliziani del PKK. Inoltre secondo la tradizione kemalista l’identità turca dello stato deve essere preservata ad ogni costo, e quindi non rimane molto spazio per i diritti economici, politici e culturali della minoranza curda. Per decenni la questione curda è stata gestita esclusivamente dall’esercito, che ha sempre utilizzato il pugno di ferro senza però riuscire a sedare la ribellione.
La Turchia guidata dal partito Giustizia e Sviluppo (AK) sta nuovamente emergendo come potenza regionale e vuole proiettare la propria influenza non soltanto in Medio Oriente (approfittando del fatto che gli Stati Uniti hanno iniziato a ritirare le truppe dall’Iraq) ma anche nel Caucaso, nei Balcani e in Asia centrale. Per raggiungere questo obiettivo è però necessario raggiungere un certo livello di stabilità in patria. L’AK è riuscito ad ottenere notevoli progressi in campo economico e ora, forte del sostegno popolare, intende risolvere il conflitto con il PKK approfittandone per tarpare le ali ai militari.
Numerose cellule del PKK in passato hanno trovato rifugio nell’Iraq settentrionale – nelle montagne di Qandil - nel territorio del Governo Regionale Curdo (GRC). Dopo il 2007 la situazione in Iraq ha però iniziato a cambiare: infatti con l’ingresso dei Sunniti nel sistema politico del paese i Curdi iracheni hanno dovuto nuovamente affrontare l’opposizione degli arabi iracheni in diversi ambiti, dall’energia alla sicurezza. La Turchia ha approfittato della vulnerabilità dei Curdi iracheni e con l’aiuto degli Stati Uniti è riuscita a ottenere dal GRC informazioni sulle postazioni del PKK nell’Iraq settentrionale in cambio di protezione. Ankara ha poi ripagato il GRC investendo nelle regioni settentrionali dell’Iraq e costruendo anche un terminale per l’esportazione delle risorse naturali.
In patria l’AK ha lanciato “l’iniziativa curda”, ovvero una campagna volta a tagliare le gambe al sostegno popolare per il PKK, basata sul riconoscimento dei diritti politici e culturali per i Curdi della Turchia. Per esempio a gennaio la radio di stato e la televisione turche hanno iniziato a mandare in onda trasmissioni in curdo 24 ore al giorno e a settembre la Commissione per l’Alta Educazione ha inaugurato un programma postlaurea in curdo all’Università Artuklu a Mardin. Inoltre i funzionari dell’AK hanno intenzione di aprire un tavolo per la revisione della Costituzione dopo le elezioni generali del 2011, con l’intenzione di introdurre una clausola che riconosca l’identità curda. Infine il governo ha inaugurato nuovi programmi di sviluppo nelle povere regioni curde della regione sudoccidentale del paese. Se il governo riuscirà a guadagnarsi la stima della popolazione curda in Turchia, potrà togliere sostegno al movimento separatista curdo con molta più facilità.
Il partito AK ha inoltre intenzione di negoziare direttamente con i vertici del PKK – ora ad esempio il governo turco ha avviato colloqui con il leader Abdullah Ocalan, in carcere dal 1999.
Questa politica di apertura presenta numerosi rischi. Quando i 26 profughi curdi e gli 8 membri del PKK sono rientrati in patria, sono stati accolti da numerosi manifestanti. Le scene dei raduni trasmesse in televisione hanno provocato lo scontento delle famiglie dei soldati uccisi dal PKK, che sono scese in piazza per protestare contro le decisioni del governo. Anche i partiti nazionalisti hanno colto la palla al balzo per criticare Erdogan ed accusarlo di “voler legittimare i terroristi”.
L’esercito inoltre – minacciato dalla politica dell’AK che intende ridimensionarne l’autonomia e l’indipendenza - durante le manifestazioni ha lanciato un’offensiva contro il PKK per manifestare il proprio appoggio ai Turchi oltraggiati dalle azioni del governo. L’AK è stato quindi costretto a rimandare il rientro di altri 15 ex membri del PKK per evitare che la situazione precipitasse.
Pochi giorni fa è stato pubblicato un documento in cui si menziona un presunto tentativo di colpo di stato da parte dell’esercito. Non si tratta di una coincidenza: con ogni probabilità l’AK ha fatto uscire questo documento con un tempismo perfetto proprio per tenere a bada i vertici militari.
Non è ancora detto che il partito AK riesca a tenere testa ai rivali politici e all’esercito - non sarà infatti semplice convincere i Turchi della lungimirante strategia che si cela dietro alle mosse del governo, specialmente dopo decenni di lotta armata.
A cura di Davide Meinero
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