10 novembre 2009
Secondo fonti ufficiali, nel 2009 la Russia avrà un calo del PIL dell’8,5%. Il surplus degli anni scorsi, dovuto agli elevati prezzi dell’energia, è scomparso ed ha lasciato il posto ad un deficit dell’8% circa. Lo stato infatti è stato costretto a intervenire nell’economia per salvare banche e industrie fortemente indebitate con l’Occidente ed ha dilapidato buona parte delle riserve estere – che sono passate da 599 a 417 miliardi di dollari.
La crisi economica rischia inoltre di intaccare pesantemente la struttura politica del paese e di sgretolare l’intero sistema di potere.
Dopo la sua elezione nel 1999, Putin dapprima ha cercato di consolidare la presa sul sistema politico del paese e poi ha lavorato per mantenere in equilibrio due abili e potenti clan rivali al Cremlino, l’uno guidato da Vladislav Surkov, assistente personale di Putin nonché vicecapo dell’amministrazione del presidente Medvedev, l’altro guidato da Igor Sechin, attuale vice primo ministro (vedi mappa a lato).
Ritornando ad una gestione centralizzata dell’economia, Putin ha concesso agli elementi fedeli dei due clan di spartirsi il potere economico in maniera equa e di mettere le mani sulle risorse strategiche del paese, sbarazzandosi così degli elementi a lui ostili. Tuttavia molti responsabili di settori industriali di fondamentale importanza per la Russia non avevano sufficiente professionalità, perciò con il crollo dei prezzi dell’energia e l’interruzione del flusso degli investimenti esteri a seguito della crisi finanziaria globale del 2008 l’economia del paese è crollata pericolosamente.
Putin sa che occorre introdurre riforme per dare nuova linfa all’economia del paese.
Il ministro delle finanze Alexei Kudrin ha presentato un piano per liberalizzare parzialmente l’economia, rimuovere i manager incompetenti e rimpiazzarli con professionisti capaci. Putin potrebbe anche approvare il piano di Kudrin, ma teme di compromettere il delicato sistema politico che ha costruito accuratamente negli ultimi dieci anni.
Siloviki vs. Civiliki
Quasi tutti i manager a rischio appartengono allo stesso clan – i
Siloviki – guidati da Igor Sechin. Con la loro rimozione il clan di Surkov accrescerebbe notevolmente il suo potere al Cremlino, schiacciando la fazione avversa. Surkov, che già gode dell’appoggio dei reparti di intelligence militare (GRU), si è guadagnato anche la simpatia dei riformisti – i
Civiliki, cui appartiene il presidente in carica Medvedev
– e dello stesso Kudrin.
Non è la prima volta che Putin si trova a dover affrontare una situazione simile. Infatti già nel 2003, quando il suo partito (Russia Unita) ottenne la maggioranza alla Duma, fece di tutto per ridimensionare il potere degli avversari politici – principalmente i seguaci di Eltsin, gli oligarchi, alcuni elementi dei servizi segreti e i liberali di San Pietroburgo.
Putin teme che Surkov cresca troppo e che in qualche modo tenti di scalzarlo dalla guida del paese: finora il rivale Igor Sechin, forte dell’appoggio dei servizi segreti (FSB, erede del KGB) è riuscito a tenere a bada l’avversario, ma se il piano di Kudrin andasse in porto la situazione cambierebbe totalmente.
In questi dieci anni
Putin è riuscito a guadagnarsi la lealtà di entrambe le fazioni del Cremlino e a mantenerle in equilibrio fra loro, ed
è consapevole che le mosse di Surkov potrebbero distruggere l’equilibrio su cui si basa l’attuale sistema politico russo.
Le opzioni di Putin
Putin si trova ora di fronte a tre scelte fondamentali:
· può ignorare il piano di Kudrin e lasciare le cose invariate. Questa soluzione garantirebbe maggiore equilibrio a lungo termine, ma l’economia già delicata del paese ne risentirebbe ulteriormente;
· oppure
può optare per una privatizzazione parziale dell’economia per evitare sconvolgimenti nel sistema politico del paese – e nel caso in cui gli effetti delle riforma iniziassero a far tremare il Cremlino, potrebbe sempre decidere di fare marcia indietro incolpando Kudrin del fallimento;
· o in ultima analisi
Putin, abile burattinaio,
potrebbe implementare le riforme di Kudrin allontanandolo dai seguacidi Surkov in modo da creare una scissione fra i civiliki. Se così avvenisse, nascerebbe un nuovo ordine basato su tre clan – uno guidato da Kudrin o Medvedev, uno da Surkov e uno da Sechin.
Questo ultimo scenario assomiglia molto al sistema tripartitico introdotto da Vladimir Lenin, in cui tre clan si combattevano a vicenda per mantenere l’equilibrio politico. All’epoca di Lenin i tre attori erano il KGB, la GRU e lo Stato. Questo sistema funzionò nell’immediato, ma alla fine fallì perché i due servizi segreti infiltrarono lo stato.
Surkov sa che Putin ha preso in considerazione questa opzione, ma crede comunque di poter godere ancora della fiducia e della lealtà dei suoi seguaci.
Conclusioni
Putin deve innanzitutto capire come riformare l’economia mantenendo un certo equilibrio al Cremlino ed evitando che emerga una figura tanto forte da poter erodere il suo potere, ma allo stesso tempo non può permettersi di perdere di vista la politica estera. La Russia infatti sta continuando a riappropriarsi della sua periferia, a partire da Bielorussia, Ucraina, Caucaso e Asia centrale, e non vuole che i paesi dell’Europa centrorientale si avvicinino troppo all’Occidente e ospitino sul proprio suolo le truppe della NATO.
Inoltre il Cremlino ha stretto alleanze informali con Iran, Turchia e Germania per contrastare il potere globale degli Stati Uniti e impedire che Washington si immischi negli affari degli ex paesi satelliti.
Negli ultimi anni, con gli Stati Uniti impantanati in Afghanistan e in Iraq, Mosca ha potuto operare quasi del tutto indisturbata. Ma
se scoppiasse una crisi politica al Cremlino difficilmente la leadership russa potrebbe dedicarsi a tempo pieno al conseguimento dei propri obiettivi regionali e quindi gli Stati Uniti potrebbero nuovamente bloccare le mire espansionistiche russe.
Finora Putin è sempre riuscito a mantenere il controllo della situazione con molta abilità. Non resta che vedere come si comporterà in questo frangente.
A cura di Davide Meinero
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