L’8 novembre 2009 si è aperto il Forum sulla Cooperazione Sino-Africana. Si tratta del primo incontro di alto livello dopo il summit Cina-Africa di Pechino del 2006, quando il governo cinese promise agli Africani 10 miliardi di dollari di prestiti e investimenti. Negli ultimi dieci anni la Cina ha aumentato notevolmente la sua presenza in Africa, ma nell’ultimo periodo le attività hanno subìto un rallentamento a causa della competizione con gli Occidentali. Pechino ora pare aver elaborato una nuova strategia.
La strategia cinese
La strategia cinese in Africa segue quattro imperativi strategici fondamentali:
· ottenere accesso alle risorse;
· aumentare la propria influenza politica;
· aprire la possibilità di lavoro in Africa per la manodopera cinese ;
· esportare i propri prodotti verso i paesi africani.
I Cinesi da alcuni anni costruiscono infrastrutture ed elargiscono consistenti prestiti agevolati ai paesi africani, normalmente poveri e sottosviluppati, in cambio dell’accesso alle risorse petrolifere. Pechino sino ad oggi ha quasi sempre investito nei paesi dove la competizione è scarsa o nulla – o perché i giacimenti sono poco produttivi oppure perché le condizioni di sicurezza sono alquanto precarie – per avere il controllo totale delle risorse energetiche locali.
I Cinesi hanno stretto accordi con quasi tutti gli stati africani dotati di risorse energetiche – con l’Angola, il Sudan, il Congo, il Kenya e la Somalia (di cui non si conosce ancora precisamente il potenziale energetico).
In cambio del denaro e degli investimenti la Cina ottiene anche appoggio politico nei forum politici internazionali – ad esempio alle Nazioni Unite.
Inoltre la Cina cerca di inviare i propri operai in Africa per evitare che il tasso di disoccupazione salga, specialmente in un periodo di crisi come quello attuale, ma così facendo attira il malcontento della popolazione locale che fatica a trovare lavoro.
Un nuovo approccio
Forte della sua bilancia commerciale in attivo e delle ingenti riserve estere, la Cina riteneva di poter trarre grossi vantaggi dalla crisi economica iniziata nell’autunno del 2008. I Cinesi speravano che le major occidentali sarebbero state spinte a vendere una parte dei loro beni a causa del crollo del prezzo del petrolio, ma sbagliavano: le aziende occidentali, salvo qualche rara eccezione, non hanno messo in vendita i propri contratti, e inoltre ben presto i prezzi hanno cominciato a risalire. Nell’ultimo anno Pechino è riuscita ad acquisire soltanto un’azienda energetica in Africa – la Addax Petroleum – e pare aver valutato che è opportuno cambiar strategia.
Mentre prima i Cinesi preferivano avere il controllo assoluto – o almeno la quota di maggioranza – dei consorzi di estrazione e produzione, ora hanno iniziato ad acquisire quote di minoranza nei progetti occidentali per ottenere il know-how di cui necessitano – ad esempio per l’estrazione in acque profonde.
Più segnali confermano questo cambiamento: il 3 novembre la China National Petroleum Corporation ha acquisito una quota di minoranza dalla BP per un progetto in Iraq, il 5 novembre la China National Offshore Oil Corporation ha fatto altrettanto con la Statoil per lo sviluppo di quattro progetti nel Golfo del Messico.
I Cinesi evidentemente ora pensano di dover acquisire nuove conoscenze tecniche per poter reggere la competizione con le aziende occidentali e controllare una quota delle risorse energetiche mondiali a lungo termine, ed hanno deciso di muoversi in questo senso.
A cura di Davide Meinero
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