L’11 novembre 2009 l’ex ministro degli esteri talebano Wakil Ahmedn Muttawakil in un’intervista alla CNN ha dichiarato che una parte dei Talebani è disposta a trattare con gli Stati Uniti in cambio del ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Muttawakil ha preso le distanze da al Qaeda sottolineando che i Talebani non hanno un’agenda transnazionale e ha poi ribadito che l’Afghanistan non sarà mai più utilizzato come base organizzativa per attacchi terroristici contro l’Occidente.
Dopo l’invasione dell’Afghanistan nel 2001, Muttawakil – arrestato nel 2001 e rilasciato nel 2003 – ha svolto il ruolo di “ambasciatore” fra gli Stati Uniti e i Talebani, ma data la sua scarsa influenza sui gruppi jihadisti finora non è stato possibile trovare accordo alcuno.
I Talebani pare inizino a capire i limiti della loro forza: a differenza del 1996, non hanno più i mezzi per controllare Kabul e imporre il loro potere sul 95% del paese - dal momento che non regna più quell’anarchia che gli permise di proliferare quasi del tutto indisturbati nei primi anni ’90.
Recentemente – l’8 novembre - le forze di sicurezza afgane e le truppe della NATO hanno lanciato due raid separati a Kandahar distruggendo 250 tonnellate di nitrato d’ammonio e numerosi altri componenti bellici. I Talebani si servono di autobombe piazzate ai margini delle strade per colpire i convogli delle forze della coalizione – dall’inizio del conflitto sono state fatte esplodere circa 6.500 autobombe – e quindi la recente operazione ha infierito un duro colpo alla ribellione.
I Talebani pongono come condizione per il dialogo il completo ritiro delle truppe della coalizione, ma i governi occidentali sanno che sarà necessario mantenere sul terreno almeno un contingente minimo per evitare lo scoppio di nuove rivolte e il ritorno dei terroristi di al Qaeda.
La strategia statunitense mira a cooptare i Talebani più pragmatici e separare i ribelli Pashtun dai terroristi di al Qaeda, in modo da trovare un accordo politico a lungo temine. Tuttavia Washington fatica ancora a distinguere fra coloro che sono pronti a rinunciare alle armi per entrare nel processo politico – ammesso che ve ne siano - e coloro che invece non hanno intenzione di rinunciare alla lotta armata.
L’unico attore che conosce la dinamica dei Talebani afgani è il Pakistan, che continua però a comportarsi in maniera ambigua. In primis
l’esercito pakistano non vede di buon occhio il pacchetto di aiuti Kerry-Lugar offerto dagli Stati Uniti al Pakistan – un pacchetto da 7,5 miliardi di dollari da destinarsi ai civili, che prevede l’assoggettamento dell’esercito al governo e l’apertura dei siti nucleari agli ispettori statunitensi – perché
teme di perdere la propria indipendenza. Secondo,
Islamabad vuole evitare che l’India – rivale storico -
possa in qualche modo guadagnarsi uno spazio d’azione in Afghanistan una volta schiacciati i Talebani afgani, e quindi non collabora pienamente con gli Stati Uniti. Infine, la battaglia che l’esercito sta combattendo contro i Talebani pakistani nelle Aree Tribali sta prosciugando tutte le energie.
L’aiuto del Pakistan sarebbe senza dubbio essenziale, ma non sufficiente.
Per stabilizzare l’Afghanistan è necessario portare anche l’Iran al tavolo dei negoziati, perché l’Iran ha sempre avuto un’enorme influenza sui gruppi afgani anti talebani e anche su diversi gruppi Pashtun. Ma con l’aumento della tensione fra Washington e Teheran sulla questione nucleare – e con l’ipotesi di una nuova guerra all’orizzonte - sembra impossibile raggiungere un accordo.
Come se non bastasse,
le relazioni fra il presidente afgano Karzai e gli Stati Uniti sono al minimo storico a causa del fallimento delle ultime elezioni e delle accuse di brogli – fondate – mosse al presidente in carica,
che hanno provocato una spaccatura fra le forze che si oppongono ai Talebani. Obama ieri ha inviato un messaggio a Karzai ribadendo che l’impegno degli Stati Uniti in Afghanistan non sarà eterno, in modo da spronarlo a prendere provvedimenti seri a breve termine – ad esempio contro la corruzione e il traffico di droga.
La strada della pacificazione è ancora lunga, ma i recenti segnali di apertura dei Talebani potrebbero inaugurare una nuova fase della guerra in Afghanistan.
A cura di Davide Meinero
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