Il 16 novembre 2009 il direttore di Strategic Forecast George Friedman pubblica un’interessante analisi sulla legge internazionale e sulla sua applicazione, in riferimento al caso dei terroristi di al Qaeda catturati dagli Stati Uniti e rinchiusi a Guantanamo in attesa di essere giudicati. Ma da chi? In base a quali procedure e a quali leggi?
Il procuratore generale statunitense Eric Holder ha deciso che Khalid Sheikh Mohammed – terrorista di al Qaeda che ha organizzato l’attentato dell’11 settembre, arrestato dagli Stati Uniti nel 2002 - sarà processato da una corte federale di giustizia criminale a New York. Holder era stato incaricato di decidere come trattare i prigionieri di al Qaeda detenuti a Guantanamo.
Esiste tuttora un notevole margine di ambiguità sullo status di questi prigionieri, e anche la legge internazionale continua ad essere alquanto ambigua, specialmente per quanto riguarda l’applicazione della Convenzione di Ginevra del 1949.
I terroristi di al Qaeda ad oggi non sono considerati soldati, perché non indossano una divisa, ma allo stesso tempo non possono essere processati di fronte ad un tribunale penale tradizionale, dato che molto probabilmente riuscirebbero a farla franca. Spetta alla comunità legale internazionale stabilire nuove regole e sbloccare la situazione. Riassumiamo qui di seguito i passi salienti dell’analisi di Friedman.
Prigionieri di guerra vs. criminali
In guerra i nemici vengono combattuti e catturati non per quello che hanno commesso, ma per quello che sono – ovvero membri di un esercito nemico. I singoli combattenti di solito vengono catturati - o uccisi – non soltanto nel corso dei combattimenti, ma anche prima di aver lanciato un assalto. In guerra non si discute di innocenza o colpa. Ovviamente se si parla di crimini di guerra, sono possibili incriminazioni. I soldati catturati sono processati da una corte marziale, non da un tribunale civile, proprio perché sono soldati, e questo implica che debbano essere giudicati da una giuria di pari – ovvero da altri soldati.
La legge internazionale è piuttosto chiara sullo status dei membri di al Qaeda: questi infatti non possono appellarsi alla Convezione di Ginevra perché non si sono auto-identificati come soldati di un esercito nemico – requisito fondamentale per l’applicazione della Convenzione. Non è necessario indossare un’uniforme, ma basta portare alcuni simboli distintivi che attestino lo status di combattente per essere protetti dalla Convenzione – questo provvedimento venne adottato dopo la Seconda Guerra Mondiale per includere anche i partigiani. Però la Convenzione non si applica a quei civili che attaccano un paese straniero senza far apertamente parte di un gruppo combattente armato. Questa clausola fu introdotta in un momento storico preciso. Durante la guerra franco-prussiana i cosiddetti franchi tiratori – francesi appunto - si mescolavano fra la popolazione e quindi i Prussiani per difendersi erano costretti a colpire anche i civili. Secondo gli estensori della Convenzione di Ginevra i franchi tiratori erano i responsabili delle morti civili e non i Prussiani, dato che questi ultimi furono spinti a difendersi e non potevano quindi evitare di colpire i civili. I franchi tiratori si servivano dei civili per nascondersi, e così facendo violavano le leggi di guerra internazionali.
Uno status ambiguo
Dopo la Seconda Guerra Mondiale ai partigiani fu estesa la protezione della Convenzione di Ginevra, ma con limitazioni. Infatti si evitò di estendere la Convenzione a quelle forze irregolari che d’abitudine combattono mescolandosi fra i civili.
Khalid Sheikh Mohammed in base alla decisione di Holder verrà giudicato di fronte a una corte federale come criminale e non come soldato in tempo di guerra.
Ma è questo lo status di Mohammed? In base alla Convenzione di Ginevra non è un prigioniero di guerra, dato che - in quanto membro di al Qaeda - non portava un’uniforme né altro segno che lo distinguesse come soldato, e quindi – logicamente – lo si considera un criminale. Ma che conseguenze ne derivano?
La legge penale punisce i colpevoli sulla base di ciò che hanno commesso, non adotta misure preventive se non è già stato commesso un crimine. Se i membri di al Qaeda sono criminali comuni, come sarà possibile arrestarli prima che commettano un crimine?
La legge penale ha inoltre procedure rigide, che debbono essere rispettate in ogni stato di diritto. Di certo i soldati che hanno catturato Mohammed non gli hanno letto i suoi diritti costituzionali prima di incarcerarlo, non hanno seguito le procedure che debbono essere applicate nei casi criminali – neppure per la raccolta delle prove del crimine, che va sempre fatta alla presenza di un avvocato difensore – perché non sono poliziotti, hanno ricevuto un addestramento diverso e operano in un contesto diverso.
Non va poi dimenticata la tipologia delle operazioni che portano all’arresto di questo tipo di prigionieri. Nella maggior parte dei casi gli agenti del governo che operano in paesi terzi (alla caccia di terroristi) non indossano un’uniforme, non fanno parte dell’esercito e, operando al di fuori dei confini nazionali, non sono protetti dalla legge americana. Alcuni lavorano sotto copertura e godono dell’immunità diplomatica – pur non svolgendo mansioni diplomatiche - altri lavorano senza copertura. Se questi agenti venissero catturati, sarebbero senz’altro processati in base alle leggi locali – ammesso che ve ne siano – e non potrebbero appellarsi alla Convenzione di Ginevra. Le spie, così some i sabotatori e i terroristi, agiscono al di fuori della legge internazionale, e di conseguenza vengono giudicati in base alle leggi della nazione in cui vengono catturati.
Gli Stati Uniti sostengono ora che Mohammed debba essere processato in base al codice penale degli Stati Uniti per crimini organizzati in Afghanistan e portati a compimento da attori terzi su suolo statunitense. Il principio può apparire a prima vista condivisibile, ma a questo punto occorre chiedersi come vanno considerati gli agenti della CIA che pianificano dagli Stati Uniti operazioni che saranno poi realizzate da altri agenti in un paese terzo? Devono essere processati nel paese terzo in questione? Certamente questo avviene normalmente per quegli agenti che vengono catturati all’estero, se non interviene a salvarli qualche forma di trattativa politica fra gli stati coinvolti, ma non è mai successo per i direttori della CIA che pianificano le operazioni a tavolino. Mohammed verrà processato negli Stati Uniti per un attentato da lui pianificato in Afghanistan, ma realizzato da altri attori su suolo statunitense. Come fanno i dirigenti della Cia quando pianificano un’azione in un paese terzo. I giuristi troverebbero ‘normale’ che un paese terzo cercasse di catturare un dirigente CIA negli USA per processarlo come criminale civile? O non lo considererebbero piuttosto come un atto di guerra da parte del paese terzo?
Il vuoto legislativo
La legge internazionale non è ancora stata aggiornata, non prevede i casi - che ormai sono realtà da decenni, diatti continuati e concatenati di terrorismo internazionale da parte di gruppi di civili sparpagliati in varie parti del mondo, perciò non è possibile affrontare casi come quello di Mohammed in base alla legge internazionale. Più precisamente, la maggior parte delle attuali discussioni legali in ambito internazionale va contro lo spirito della Convenzione di Ginevra, che stabilisce che i franchi tiratori non possono essere protetti in quanto non sono soldati e violano le leggi di guerra. Gli organismi internazionali oggi stanno cercando di offrire a Mohammed una protezione - come combattente - non prevista dalla Convenzione di Ginevra, mentre al contrario gli Stati Uniti intendono processarlo sulla base del codice penale nazionale.
Ma questa seconda opzione non è valida come sembra, a meno che gli Stati Uniti siano pronti ad accettare che il personale della CIA degli Stati Uniti possa venire processato in paesi terzi per azioni pianificate su suolo statunitense ma realizzate all’estero. Gli Stati Uniti d’altronde non hanno mai pensato di processare in USA i mandanti del KGB che pianificavano le azioni delle spie sovietiche.
Negli ultimi anni è emersa una nuova categoria di detenuti che non possono essere trattati come prigionieri di guerra né tantomeno come criminali comuni – dato che la legge penale non ha le caratteristiche appropriate per processare individui come Mohammed. Uno stato di diritto non può adottare le regole del controterrorismo internazionale in un’aula del tribunale civile, né può usare le procedure penali classiche per bloccare un’organizzazione terroristica che opera a livello transnazionale: non potrebbe mai fermare i terroristi prima che abbiano compiuto le azioni criminose.
Nel concreto, non è semplice capire quante e quali prove raccolte contro Mohammed potranno rivelarsi utili in un’aula di tribunale, per le ragioni citate sopra. Mohammed era sul campo di battaglia ma non agiva da soldato. Non si può nemmeno ipotizzare di mandare la scientifica a raccogliere le prove sul terreno – sarebbe semplicemente ridicolo. Quindi le probabilità che Mohammed sia giudicato colpevole in un tribunale civile non sono molte, anche se Eric Holder ha incredibilmente dichiarato al Congresso che la liberazione dell’imputato ‘is not an option’, prima dell’inizio del processo! Un qualsiasi giudice federale potrebbe innanzitutto farsi delle domande sulla validità e sulla trasparenza di un processo simile - potrebbe chiedersi innanzitutto se Mohammed abbia ricevuto una giusta consulenza legale (che ovviamente non ha ricevuto), o se non siano state compromesse le prove dopo l’arresto (decisamente probabile, dato che è stato arrestato da soldati e non dalle forze dell’ordine). Inoltre esiste il problema della tortura e delle confessioni forzate. In sintesi, com’è possibile processare con le leggi statunitensi un uomo catturato in un paese terzo e tenuto in custodia dai militari per sette anni? Non è escluso che la corte decida di non procedere, vista la situazione, e questo sarebbe un vero disastro per la politica estera degli Stati Uniti.
Il vero problema è che la legge internazione non tiene conto degli atti di guerra commessi da attori non statuali che non portano un’uniforme. O meglio, li relega in una sorta di limbo legale, dato che chi cattura i terroristi ha la possibilità di agire come preferisce. La comunità internazionale ha condannato più volte gli Stati Uniti per il loro modo di trattare i prigionieri di al Qaeda, ma finora non ha contribuito a colmare il vuoto legislativo che tuttora non permette di giudicarli in maniera equa.
L’attentato dell’11 settembre non è un semplice atto criminale, bensì un atto di guerra, ma compiuto al di fuori dei confini della Convenzione di Ginevra.
Il governo di Washington non mira a punire i terroristi che hanno già agito e che sono stati catturati, ma ad annientare al Qaeda, perché non possa ordire nuovi attentati.
Perché questo sia possibile la comunità legale internazionale deve innanzitutto riconoscere che al Qaeda ha commesso un atto di guerra e non un crimine qualunque. Poi, se si intende garantire ai terroristi una qualsiasi protezione, dovrà intervenire sulla Convenzione di Ginevra.
In sintesi, per risolvere questa situazione, occorre muoversi su un duplice binario:
· si deve riaffermare - e con forza - che i combattenti che non si distinguono dai civili non possono usufruire della Convenzione di Ginevra;
· si deve nuovamente stabilire chi e in che modo potrà usufruire di tale Convenzione d’ora in poi.
La comunità legale globale prima o poi dovrà colmare queste lacune per evitare che la legge internazionale perda di credibilità agli occhi dell’opinione pubblica mondiale.
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