1 dicembre 2009
L’offensiva dell’esercito pakistano è giunta alla sesta settimana: le truppe finora hanno liberato Saragoha, Kaniguram e Makeen dai terroristi di Tehrik-i-Taliban Pakistan (
vedi mappa a lato), ma non controllano ancora l’intera area. Finora non è stato studiato alcun piano per il ritiro, il che indica che
con ogni probabilità l’esercito manterrà una presenza sul terreno nei mesi venturi, anche dopo la fine dell’operazione - è infatti fondamentale che i terroristi scappati in altre zone del Pakistan al momento dell’attacco non ritornino in Waziristan alla fine dell’operazione.
I Talebani di Tehrik-i-Taleban (TTP) e i loro alleati riescono ancora a lanciare violenti attacchi contro lo stato pakistano – come testimoniano i vari attentati messi in atto dopo l’inizio della campagna militare. Ma
a Islamabad si inizia già a parlare del futuro assetto politico della regione: ad operazione completata il Waziristan meridionale sarà probabilmente diviso in due agenzie distinte, per separare le aree controllate dalla tribù Meshud – dove attualmente operano i terroristi di TTP -
da quelle controllate dalla tribù Waziri – più a ovest, sul confine afgano, dove regna il signore della guerra talebano Maulvi Nazir Ahmad. Maulvi Nazir e i suoi seguaci hanno raggiunto un’intesa con il governo centrale pakistano e non si sono opposti all’operazione militare nel Waziristan meridionale. Nazir è già molto occupato a combattere le forze occidentali in Afghanistan e non ha intenzione di inimicarsi anche il Pakistan – almeno per ora.
A Islamabad si parla anche di cambiare i rapporti fra il governo centrale e i territori FATA (aree tribali ad amministrazione autonoma), rendendo l’amministrazione tribale più dipendente dal centro e più facile da controllare. Ma tutto ciò non avverrà finché la zona è sotto il controllo dei militari.
La lotta intestina
Ora che i Talebani sono divisi, la vittoria dell’esercito pakistano sembra più vicina - anche se
la battaglia politica in seno all’establishment pakistano fra esercito e presidente potrebbe comprometterne l’esito.
Il 27 novembre il presidente pakistano Asif Ali Zardari ha ceduto al primo ministro Yousaf Raza Gilani la presidenza dell’arsenale nucleare per smorzare le critiche dei suoi oppositori, che lo hanno più volte attaccato per non aver rinunciato ai poteri ereditati dall’ex presidente Musharraf.
L’arsenale nucleare tradizionalmente è controllato dall’esercito, la presidenza di Zardari aveva un carattere esclusivamente simbolico. Al tempo di Musharraf questa carica contava decisamente di più, dato che l’ex presidente era anche il capo dell’esercito. Attualmente però, con un presidente civile in carica, i veri responsabili dell’arsenale sono il presidente del Comando Congiunto, il generale Tariq Majid, e il direttore della Divisione di Pianificazione Strategica, l’ex generale Khalid Kidwai.
Di fatto l’establishment nucleare non viene scalfito, dato che in caso di crisi la leadership militare e civile si riuniscono per prendere decisioni condivise.
Zardari ha poi annunciato in TV che a dicembre verrà abrogato il 17° emendamento introdotto da Musharraf nel 2003, che garantiva al presidente poteri superiori a quelli del parlamento e del primo ministro – in aperto contrasto con la Costituzione del 1973.
Zardari - attualmente alla guida del Partito Popolare del Pakistan (PPP), che detiene la maggioranza in parlamento - pur dovendo rinunciare a una parte dei poteri presidenziali, vorrebbe mantenere la presa sul governo, ma non sarà facile. Tanto più che
il 28 novembre scorso è scaduta l’Ordinanza per la Riconciliazione Nazionale - un provvedimento promulgato dall’ex presidente Pervez Musharraf che garantiva l’amnistia ai politici accusati di corruzione e altri atti criminali (e quindi anche a Zardari, accusato di corruzione).
Attualmente Zardari gode dell’immunità in quanto presidente e non può essere processato, però altri membri del gabinetto e dei ministeri rischiano di finire alla sbarra. Il presidente dovrà cercare di ottenere il controllo della Corte Suprema, ma i suoi oppositori non gli daranno tregua e faranno di tutto per impedirgli di candidarsi alla guida del massimo organo giudiziario.
Per ora gli equilibri sono piuttosto incerti, e c’è il rischio che la lotta politica abbia ripercussioni sull’offensiva contro i Talebani e ne comprometta l’esito - il che metterebbe ulteriormente a repentaglio la stabilità della regione.
A cura di Davide Meinero
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