Durante la conferenza centrale sulle attività economiche del 5-6 dicembre 2009, presieduta dal presidente cinese Hu Jintao, i leader cinesi hanno tracciato la politica economica per l’anno venturo e hanno parlato della necessità di riformare il sistema di “hukou” (diritto di residenza) come strumento per dare nuovo impulso all’economia.
Il sistema di hukou
Il sistema di hukou, introdotto da Mao Zedong nel 1958, permette al governo centrale di esercitare il controllo sulla popolazione attraverso la limitazione delle migrazioni interne.
Durante il periodo maoista occorreva una lasciapassare per uscire ò anche per poche ore - dalla cinta del proprio comune di residenza. Ora la mobilità interna temporanea è libera, ma non è libero il diritto di residenza. Per aver casa in un luogo diverso da quello di provenienza, occorrono pratiche e permessi speciali.
Il sistema venne introdotto con il preciso intento di evitare che i contadini emigrassero dalle campagne.
Con le riforme di Deng Xiaoping del 1978, che aprirono l’economia cinese agli investimenti e al commercio estero – specialmente nelle aree costali, dove esistevano già le infrastrutture portuali –
il controllo sull’hukou venne allentato e nell’arco di poco tempo le migrazioni interne si moltiplicarono. I migranti – attualmente intorno ai 200 milioni – si riversarono nelle città sulla costa alla ricerca di lavori meglio retribuiti e contribuirono a espandere le infrastrutture economiche sulla costa. Quindi la differenza fra le aree costali e l’interno crebbe a dismisura.
Non è la prima volta che a Pechino si pensa di riformare il sistema di hukou, ma dallo scoppio della crisi economica le discussioni si sono fatte più intense
: i leader cinesi hanno infatti capito che è assolutamente necessario diminuire il divario fra città e campagna e investire di più nei consumi interni (attualmente la Cina investe il 40% del PIL, mentre gli altri paesi del sudest asiatico destinano il 60/70% del PIL ai consumi interni),
riducendo la dipendenza del sistema economico dalle esportazioni.
Per riequilibrare l’economia si potrebbe innanzitutto investire nei consumi legati alla crescente urbanizzazione – cibo, trasporti, educazione, etc.
In linea di massima
il lavoratore cinese proveniente dalla campagna possiede al massimo un diploma di scuola media e deve immediatamente trovarsi un lavoro che produca reddito, il che rende l’integrazione sociale ed economica difficile, perché la competizione nelle grandi città è a livello alto e il mercato richiede lavoratori molto più preparati, più scolarizzati. Quindi per migliorare la situazione è necessario dare ai migranti la possibilità di cambiare facilmente residenza alla ricerca di un ambiente più adatto, e offrire migliori servizi sociali nelle aree rurali e urbane.
In ogni caso la riforma del sistema di hukou, per quanto di assoluta necessità, non sarà rapida: Pechino infatti cercherà di implementare i cambiamenti gradualmente per tenere sotto controllo la situazione - come accade ormai dai tempi delle devastanti riforme economiche e sociali della Rivoluzione Culturale.
Il ruolo delle banche
I leader del partito comunista hanno poi deciso di allentare la politica monetaria e proseguire il piano di stimolo per tutto il 2010.
Sembra dunque certo che le banche cinesi continueranno a prestare soldi con liberalità. Secondo alcune stime i prestiti erogati dovrebbero raggiungere una cifra superiore a 1 trilione di dollari. Ma dove prenderanno il denaro? Esistono essenzialmente due opzioni:
1)
il governo centrale può iniettare denaro nelle banche come ha fatto l’anno scorso - oppure può spingere le banche a concedere prestiti senza limiti, riservandosi il diritto di intervenire con denaro fresco soltanto in caso di emergenza;
2) altrimenti può comprare azioni delle banche - infatti non sarebbe poi così strano che il Ministero delle Finanze acquistasse azioni delle banche in un periodo di crisi e recessione.
Però
acquistando le azioni subito – aumentando troppo presto l’influenza politica sulle banche stesse -
il governo rischierebbe di allontanare potenziali investitori, che difficilmente gradirebbero l’idea di vedere i propri investimenti condizionati dagli interessi della burocrazia cinese.
D’altro canto se le banche non riuscissero a trovare nuovo denaro sarebbero costrette a ridurre il volume dei prestiti, togliendo così liquidità all’economia reale e bloccando la crescita del paese.
Ma il governo farà di tutto per far sì che il flusso dei prestiti non si interrompa.
Nei prossimi mesi capiremo quali saranno le scelte del governo cinese, e soprattutto come fornirà il capitale per continuare a oliare il meccanismo economico.
A cura di Laura Camis de Fonseca e Davide Meinero
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