22 gennaio 2010
Con l’aumento della tensione fra Washington e Teheran sul programma nucleare iraniano, la Repubblica Islamica ha iniziato a pensare alle contromosse che potrebbe mettere in atto nel caso in cui gli Stati Uniti decidessero di intervenire militarmente contro i siti nucleari iraniani. Teheran per ora può contare sui suoi alleati sciiti in Libano e in Iraq, e sta cercando di espandere la propria influenza nella regione finanziando anche cellule sunnite, specialmente nello Yemen – dove esiste già una forte presenza di al Qaeda.
In Yemen la situazione appare particolarmente tesa: dall’estate del 2009 la Repubblica Islamica ha iniziato a finanziare ed armare pesantemente i ribelli sciiti al-Houthi, che si trovano sul confine fra Yemen e Arabia Saudita. La situazione è degenerata rapidamente e Riyadh è stata costretta ad intervenire militarmente per porre un freno alla ribellione, che si è ormai estesa anche in territorio saudita. Gli Stati Uniti, che collaborano attivamente con le autorità yemenite nella lotta contro i ribelli (fornendo loro addestramento e informazioni di intelligence) finora hanno evitato di accusare pubblicamente l’Iran dell’escalation militare, per evitare di aprire un nuovo fronte che complicherebbe ulteriormente i già precari negoziati sul nucleare iraniano.
Vi sono prove concrete dei contatti fra Teheran e i jihadisti sunniti appartenenti alla cellula di al Qaeda nella Penisola Araba (AQAP) dello Yemen. Le guardie della rivoluzione (pasdaran) infatti dirigono due campi di addestramento nel Razavi Khorasan (regione nordorientale dell’Iran), vicino al confine con l’Afghanistan e il Turkmenistan, dove i jihadisti vengono addestrati prima di essere inviati a combattere in Yemen – e altrove nel mondo.
Al Qaeda nella Penisola Araba non è ancora forte, ma recentemente ha adottato un’agenda transnazionale – come dimostra il tentato omicidio contro il viceministro degli interni saudita.
La presenza di un finanziatore esterno come Teheran potrebbe essere fondamentale per la riuscita delle operazioni dell’AQAP, quindi con ogni probabilità Washington dovrà intervenire prima che la situazione si faccia troppo pericolosa.
A cura di Davide Meinero
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