Il primo febbraio 2010
George Friedman pubblica su Strategic Forecast un’analisi sul braccio di ferro fra Stati Uniti e Iran sulla questione del nucleare, e degli interessi non convergenti di Stati Uniti e Israele.
Gli Stati Uniti nei giorni scorsi hanno deciso fornire ai paesi del Golfo Persico – Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar e Oman – sistemi di difesa antimissili balistici affinché possano proteggersi da possibili lanci dalla Repubblica Islamica. Secondo Friedman Washington non ha davvero intenzione di muovere guerra all’Iran, e con questa mossa intende soltanto mostrare i muscoli, sperando di intimorire il regime.
Interessi divergenti
L’amministrazione Obama ha sempre puntato sulla diplomazia per risolvere il conflitto con Teheran: negli ultimi mesi Washington ha cercato di costruire una vasta coalizione per imporre ‘pesanti sanzioni’ – ovvero tagliare i rifornimenti di benzina – all’Iran.
Ormai è chiaro che questa strategia non ha portato a nessun risultato, dato che né la Cina né la Russia sono disposte a collaborare con gli Stati Uniti.
Gli interessi di Washington e di Gerusalemme nei confronti dell’Iran divergono a causa delle diverse realtà geopolitiche. Gli Stati Uniti in passato hanno permesso a paesi nemici in altri continenti – la Cina, ad esempio – di costruirsi la bomba atomica e non è quindi detto che non permettano alla Repubblica Islamica di fare altrettanto. Washington infatti ritiene che i governi siano più attenti alle proprie mosse una volta acquisita la tecnologia atomica. Inoltre anche nel caso – ben poco probabile - di attacco nucleare proveniente da altri continenti gli Stati Uniti non subirebbero danni eccessivi, dato che hanno una superficie molto vasta.
La situazione di Israele è decisamente diversa. Un attacco nucleare avrebbe effetti devastanti su Israele. E
il presidente iraniano Ahmadinejad ha dichiarato a più riprese di voler “cancellare Israele dalla faccia della Terra”, il che lascia intendere che potrebbe servirsi dell’arma atomica contro Israele.
La strategia americana
L’amministrazione Obama ha deciso di fornire ai paesi del Golfo armi difensive per ridurre il rischio di attacchi - di carattere tradizionale o atomico - da parte delle Repubblica Islamica e per rassicurare sia gli alleati del Golfo sia Israele – e far capire che gli Stati Uniti sono pronti a prendere misure drastiche se necessario.
Obama – esattamente come Bush prima di lui – sta prendendo tempo, perché teme che non sia possibile rimuovere il problema nucleare con un’operazione ‘chirurgica’ – ovvero bombardando i siti nucleari.
Gli Stati Uniti sanno infatti che l’Iran reagirebbe ad un eventuale attacco chiudendo lo stretto di Hormuz – e interrompendo il flusso di petrolio verso l’Occidente, il che costringerebbe gli Stati Uniti a lanciare un’operazione di terra per neutralizzare la controffensiva del regime iraniano. Washington è impantanata in Iraq e in Afghanistan, dunque non ha nessuna intenzione di aprire un nuovo teatro di guerra e affrontare i rischi che ne deriverebbero.
I dubbi israeliani
Israele vorrebbe bloccare il programma nucleare iraniano, ma non può agire da solo perché rischierebbe di compromettere il delicato equilibrio di potere che ha costruito nel corso degli ultimi anni – e specialmente il rapporto con gli Stati Uniti.
Certamente
Israele potrebbe minacciare di servirsi dell’arma nucleare per spingere gli Stati Uniti a lanciare un’operazione più ‘convenzionale’, ma non è affatto probabile che Washington si faccia trascinare in una nuova guerra.
Conclusioni
L’attuale mossa statunitense non preclude nessuna opzione: rifornendo di materiale bellico i paesi del Golfo Persico, Washington si riserva il diritto di intervenire militarmente contro l’Iran in caso di necessità, e consolida la propria influenza nella Penisola Arabica – il che potrebbe spingere Teheran a rivedere la sua posizione.
Sicuramente la risposta della Repubblica Islamica non si farà attendere.
Nei prossimi mesi si capirà forse quale sarà l’epilogo di questo lungo braccio di ferro.
A cura di Davide Meinero
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