Recensione di Mario Moisio.
Souad Sbai L’INGANNO Vittime del multiculturalismo, Cantagalli ed, Siena 2010.
Parole chiare per fatti altrettanto chiari, ma che l’ideologia e l’indifferenza distorcono, dimenticano, minimizzano, censurano. L’inganno di cui parla Souad Sbai è un mostro terribile che ha molte facce, ma che si incarna soprattutto in due fenomeni caratteristici e intimamente collegati: l’uso strumentale della religione da parte degli integralisti per perseguire le proprie volontà politiche e la sottomissione della donna, la soppressione delle sue libertà civili e della sua dignità di essere umano. Non sono problemi lontani, perché ciò avviene anche in Occidente attraverso i perversi sistemi del multiculturalismo. Il sottotitolo del libro, infatti, è proprio “Vittime del multiculturalismo”, che individua la radice di un problema composito, risultato soprattutto dell’abdicazione giuridica e politica alla promozione dei diritti umani universali e della sopravvalutazione delle culture rispetto alla centralità e all’inviolabilità della persona. “Vittime” al femminile ci ricorda in modo immediato la realtà della condizione delle donne immigrate, la loro chiusura in un mondo di ignoranza e di violenza, ma il termine ha un valore universale e il messaggio del libro è che ogni persona, di ogni sesso e di ogni religione può essere vittima dell’integralismo e del fanatismo.
L’inganno è quindi la ricercata e subdola maschera della religione per nascondere un disegno imperialista che di religioso non ha nulla. L’inganno è l’uso paradossale e distorto della democrazia per lasciar proliferare indisturbato proprio ciò che la democrazia vuole distruggere. L’inganno è l’abbagliante chimera del multiculturalismo, il rifiuto di riconoscere la sua natura di ideologia e le sue conseguenze fallimentari, la confusione con la multiculturalità positiva. L’inganno è la promozione di idee astratte dei diritti umani e della fratellanza universale che degenerano nell’indifferenza perversa, nella complicità, nella negazione dei diritti stessi. L’inganno è il relativismo culturale e giuridico che assolve i colpevoli e lascia indifese donne picchiate, violentate, ustionate, sfruttate. L’inganno è credere che queste atrocità siano solo una questione delle immigrate più sfortunate e che non possano coinvolgere tutta la società. Il valore aggiunto dell’opera di Souad Sbai, da musulmana, è di saper decifrare le strategie dei movimenti integralisti, la loro sistematicità, la loro capacità di infiltrarsi nelle società democratiche, la loro pretestuosità e infondatezza religiosa. Grazie al suo occhio attento si vede come ogni espressione e ogni fenomeno dell’integralismo sia un segmento di una rete organizzata, sistematica, preparata con metodo e pazienza, dalla quale ogni istituzione e ogni essere umano può essere catturato. La produzione di attentati terroristici non è che la fase finale di un processo che attraversa le tappe di una reislamizzazione radicale e violenta attuata anche attraverso gesti e simboli dalle apparenze innocue, che non solo non hanno natura di espressione religiosa perché ereditati da tradizioni tribali preislamiche, ma che sono occasioni di sottomissione, sfruttamento e violenza. Una prova del successo di tale strategia è lo spostamento del dibattito dal velo (di cui Souad Sbai non nega la possibilità di uso ma la subordina alla libera scelta) al burka (di cui gli intellettuali islamici hanno negato ogni legittimità religiosa), il cui diritto all’uso è oggetto di una battaglia puramente ideologica che trascura del tutto ciò che tale simbolo sottintende. È la battaglia per un “diritto” che nega tutti gli altri diritti. L’atteggiamento negativo verso la differenza di genere che si incarna nell’imposizione del burka, infatti, si dimostra un tratto caratteristico di ogni pensiero integralista e quindi anche un indicatore efficace del modo di concepire non solo la differenza stessa, ma anche la convivenza, la cittadinanza e la democrazia.
La profondità dell’analisi di Souad Sbai su questa come su tante altre questioni è frutto sia della sua esperienza di persona che da anni vede la realtà delle donne immigrate vittime di violenza sia della sua preparazione accademica che le permette di raccogliere e di valorizzare i contributi di tante personalità della filosofia, della sociologia e della politica di cui il testo è ricco di contributi e che spaziano da Averroè ai pensatori e alle pensatrici dei nostri giorni. La sua prospettiva è laica, illuministica, rispettosa e diretta al recupero della dimensione di religiosità autentica e lontana dalle degenerazioni politiche.
La presentazione del volume svoltasi il 9 marzo a Roma presso la Sala delle Colonne della Camera dei Deputati ha mostrato un esempio concreto della vicinanza e della dimensione dei problemi trattati grazie a un video sottotitolato del sermone di un imam fanatico che incitava gli uomini a picchiare le donne, definendola cosa «meravigliosa», conforme alle leggi divine e da queste suggerita. Non un caso isolato, ma uno fra le migliaia degli imam “fai da te” che possono proliferare anche in Italia. Tuttavia, le personalità presenti insieme con Souad Sbai hanno esposto in proposito una serie di considerazioni costruttive piuttosto che conclusioni facili ed emozionali. La studiosa Valentina Colombo, esperta di studi islamici, ha fatto notare come cedere alla paura invece che dedicarsi a soluzioni concrete sia uno dei rischi maggiori. Per tutti noi cittadini e cittadine ciò significa impegnarsi a rifiutare sia le false e semplicistiche equazioni come “immigrato = criminale”, sia il relativismo che produce giustificazioni del terrorismo all’ombra di pretesti assurdi come “la presenza di Israele” o “l’occupazione americana dell’Iraq” e che partorisce di continuo non soltanto violenza nello scenario mediorientale, ma anche aberrazioni culturali e giuridiche in Occidente. Un prezioso contributo è arrivato anche da un ospite della comunità marocchina in Italia che ha svolto insieme con Sbai ruoli di mediazione culturale e che attraverso la sua esperienza di attività decennale ha fatto chiarezza sul termine “moderati”, una parola che, proprio come “integrazione” è spesso oggetto di uso ambiguo e strumentale. Ha raccontato in modo inequivocabile chi sono i veri moderati, come reagiscono all’integralismo, quali sono le loro difficoltà nel contesto di indifferenza generale, senza appoggi mediatici e senza il sostegno dei proventi petroliferi dirottati alla causa del proselitismo integralista, ma ha anche e soprattutto dichiarato che proprio per il loro essere intimamente religiosi i moderati hanno un motivo in piú per denunciare e contrastare chi della religione si fa scudo per usi personali.
Oltre all’accuratezza della documentazione, un altro pregio dell’opera di Souad Sbai è di non limitarsi alla denuncia di situazioni, per quanto tragiche, ma di proporre, dalla questione della cittadinanza alla lotta al terrorismo, soluzioni concrete e realistiche, ferme nella promozione dei diritti universali dell’essere umano, responsabili e sostenibili dal punto di vista della prospettiva sociale e politica. Mostra e dimostra che ciò che agli sguardi superficiali si crede una guerra di religione è in realtà una guerra di umanità contro disumanità (il fatto che il terrorismo islamico faccia un gran numero di vittime musulmane è particolare essenziale nella comprensione del fenomeno). Indica in modo chiaro che fra le vie per uscire in ogni luogo del pianeta dall’oppressione di genere e dall’integralismo religioso, la presa di coscienza e il dialogo che deve vedere come protagoniste le donne occupa un ruolo fondamentale: passa dai loro cuori e dai loro corpi, dalla loro dignità e dalla loro libertà il successo di ogni processo di integrazione cosí come ogni progresso dei diritti umani e ogni resistenza all’oscurantismo. Tuttavia, ciò può avvenire solo sbarazzandosi della retorica che incombe su tali opportunità, che le banalizza e spesso le vanifica, concentrandosi sulla consapevolezza dell’universalità dei diritti e del valore della persona.
Il volume si chiude con un piccolo e utile dizionario delle correnti islamiche e con la toccante poesia della libanese Joumana Haddad intitolata semplicemente “Donna”, in cui risuona una voce universale di libertà che tanto ricorda la donna del “Giardino di cemento” che ad altre latitudini rifletteva su jeans, stivali e simboli di disparità e di uguaglianza. Non esiste modo migliore per esprimere due messaggi universali come l’arte e i diritti umani, la bellezza e la giustizia, che mostrare in che modo si possono unire.
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