Premessa:
i terroristi, come ogni altro gruppo di guerriglieri irregolari, riescono a sviluppare un'organizzazione soltanto in presenza di tre situazioni:
- un terreno fisicamente favorevole per nascondersi in modo da essere difficilmente raggiungibili dalle armi dell’esercito di stato;
- una popolazione che per cultura e/o per interesse li accoglie e li nasconde, anzichè denunciarli;
- un'autorità statale locale incapace o indolente, che non gli dà la caccia in modo determinato ed efficiente.
L'Egitto e i terroristi.
Anche se l’Egitto è stato la culla ideologica del jihadismo i militanti jihadisti non sono mai riusciti a trovarvi un solido appoggio (come non sono riusciti in Algeria, Yemen e Pakistan). Questo è dovuto sia alla morfologia del territorio, sia al governo non favorevole, che riesce a raggiungere anche le zone dove si trovano gruppi simpatizzanti. Ogni volta che le organizzazioni jihadiste hanno iniziato ad operare il governo egiziano è stato in grado di debellarle in breve tempo. Non avendo luoghi in cui nascondersi, i militanti che non arrestati e non uccisi lasciarono il paese per recarsi in Sudan, Iraq e Pakistan.
Negli ultimi trent’anni molti di questi militanti egiziani itineranti – ad esempio Ayman al-Zawahiri- hanno avuto un ruolo importante nella formazione e nello sviluppo di al Qaeda – una organizzazione jihadista transnazionale e senza fissa dimora.
Al Qaeda dal 1989 a oggi.
Al Qaeda nasce nelle impervie zone montane lungo la frontiera tra l’Afghanistan e il Pakistan.
Una regione remota che accoglieva non soltanto rifugiati e militanti da ogni dove, ma rigurgitava anche di armi, di spie, di fondamentalisti islamici e di intrighi. Questa zona si è dimostrata ideale per la formazione del moderno jihadismo dopo il ritiro sovietico dall’Afghanistan nel 1989, ed è stata sempre coinvolta nelle violenze tra mussulmani. Dopo la caduta del regime comunista a Kabul nel 1992 l’Afghanistan venne indebolito dalla costante guerra civile tra i signori della guerra mussulmani, finchè i Talebani presero il potere nel 1996.
Nel 1992, nella confusione generale, al Qaeda iniziò a spostare molti dei suoi affiliati nel Sudan, paese che aveva preso una piega islamista con il colpo di stato del generale Omar al-Bashir, che era fortemente influenzato da Hasan al-Turabi e dal suo partito, il Fronte Nazionalista Islamico.
AlQaeda gestiva campi di addestramento in Afghanistan a Khaldan, al Farook e Darunta. Il gruppo continuò a mantenere la sua rete a Karachi e a Peshawar per indirizzare potenziali jihadisti provenienti dall’estero nei campi di addestramento in Afghanistan.
Per diversi motivi il Sudan si rivelò un luogo migliore da cui operare per al Qaeda, perchè offriva molti più accessi al mondo esterno che i remoti campi dell’Afghanistan. Ma gli accessi sono sempre a doppio senso e il gruppo fu molto più esposto durante la sua permanenza in Sudan di quanto fosse in Afghanistan. Infatti fu proprio durante gli anni sudanesi (1992-1996) che il mondo dell’antiterrorismo iniziò ad essere consapevole dell’esistenza e dell’attività di al Qaeda.
In seguito al tentato assassinio del presidente egiziano Hosni Mubarak ad Addis Abeba, l’Etiopia e la comunità internazionale - incluse Egitto e Stati Uniti - iniziarono a fare forti pressioni sul governo del Sudan perché Osama bin Laden e al Qaeda venissero messi sotto controllo e poi espulsi dal paese.
Nel maggio del 1996 Bin Laden e il suo gruppo fecero ritorno in Afghanistan. Il momento era propizio , e Al Qaeda trovò rifugio in Afghanistan proprio mentre i Talebani si stavano preparando all’attacco finale a Kabul. I Talebani non sono mai stati veri alleati di Bin Laden, ma tolleravano la sua presenza e le sue attività e si sentivano obbligati a proteggerlo in nome del dovere di ospitalità del Pashtunwali, l’antico codice del popolo Pashtun. Al Qaeda scaltramente sviluppò una strategia di alleanze matrimoniali con figure influenti delle tribù locali. Appena tornato in Afghanistan, bin Laden si sentì abbastanza sicuro da rilasciare - nell’agosto del 1996 - una dichiarazione di guerra contro gli Stati Uniti. La remota e montagnosa regione nordorientale dell’Afghanistan, al confine con il Pakistan, è un’area ideale da cui operare perché dista abbastanza dall’oceano per non essere attaccabile dalle armi della marina statunitense.
La permanenza di al Qaeda in Afghanistan fu brevemente interrotta dall’attacco statunitense nel 1998, dopo gli attacchi terroristici alle ambasciate Uma SA in Africa orientale, il pesante attacco si dimostrò inefficace, mostrando i limiti i limiti delle armi degli Stati Uniti, e il gruppo continuò ad operare dall’Afghanistan, praticamente indisturbato, fino all’invasione dell’Afghnaistan nell’ottobre 2001. Durante la sua permanenza in Afghanistan al Qaeda formò decine di migliaia di combattenti nei propri campi di addestramento.
L’invasione statunitense dell’Afghanistan cambiò radicalmente la visione dell’Afghanistan da parte dei jihadisti. La potenza militare degli Stati Uniti non era più confinata all’oceano indiano, ora si avvertiva nel cuore del paese. L’Afghanistan non era più un luogo di rifugio sicuro, ma territorio di combattimento. I campi di addestramento in Afghanistan vennero distrutti o trasferiti sul lato pakistano del confine. Alcuni jihadisti rientrarono nei paesi d’origine, altri - come Abu Musba al Zarqawi - si trasferirono in Iraq. I Pashtun sul lato pachistano del confine afgano fornirono inizialmente un comodo rifugio per i jihadisti, ma gli attacchi aerei statunitensi trasformarono l’area in un luogo pericoloso, ed Al-Qaeda fu frammenta e cacciata. Il gruppo afgano perse importanti leader operativi come Mohammed Atef, e altrettanto successe in Pakistan, dove figure di spicco come Khalid Sheikh Mohammed furono catturate ed uccise. Il vertice di AlQaeda dovette rendersi invisibile per sopravvivere.
In seguito all’intervento americano nel marzo 2003 l’Iraq divenne il centro della guerra jihadista. L’Afghanistan è un luogo remoto anche per il mondo mussulmano, ma l’Iraq è nel cuore pulsante dell’Islam. Per cinque secoli Baghdad fu la sede dell’impero islamico. Nel 2003 l’invasione americana rientrava perfettamente nella narrazione della storia da parte dei jihadisti, secondo la quale l’occidente ha dichiarato guerra all’Islam, e questo aiutò i jihadisti ad arruolare uomini e a raccogliere finanziamenti. In poco tempo arrivarono in Iraq jihadisti da tutto il mondo, non solo da paesi come l’Arabia Saudita e l’Algeria, ma anche dall’America del nord e dall’Europa. Lo zoccolo duro di al Qaeda chiese fondi persino ad Abu Musab al Zarqawi, leader jihadista iracheno.
L’Iraq era un luogo così proprizio ai jihadisti soprattutto per l’ospitalità e la protezione data loro dagli sceicchi nel triangolo sunnita. Quando la generosità di questi capi tribali finì, con l’ Anbar Awakening del 2005/2006, l’Iraq divenne un luogo ostile ai jihadisti stranieri. Quest’ostilità venne innescata dalla brutalità di al Zarqawi e dalla sua incuranza nell’attaccare altri mussulmani. I rapporti cambiarono nel triangolo sunnita, Al-Zarqawi fu ucciso nel giugno 2006, e i canali utilizzati per portare jihadisti in Iraq furono distrutti. Alcuni dei jihadisti che avevano lavorato in Iraq, o che desideravano andare in Iraq, furono invece trasferiti in Pakistan, oppure andarono in Algeria e in Yemen. ‘
Poco dopo l’Anbar Awakening nacque il gruppo affiliato ad al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) e ci fu un ‘risveglio’ jihadista in Yemen. Anche in Somalia vennero ad addestrasi jihadisti stranieri.
Quale è la prospettiva attuale?
I confini impervi del Pakistan continuano ad essere d’importanza strategica per i jihadisti, ma gli attacchi aerei statunitensi e le operazioni militari pakistane hanno obbligato molti jihadisti a lasciare il Pakistan in cerca di luoghi più sicuri. La leadership centrale di al Qaeda continua a nascondersi, ma gruppi locali (i Talebani, o alQaeda nella penisola araba - AQAP) hanno preso la guida del jihad nei singoli paesi, e sono interessati soltanto a raggiungere risultati localmente.
Dove si svilupperà il terrorismo jihadista internazionale prossimamente?
La poca accoglienza da parte della popolazione locale è uno dei fattori che può limitare la capacità dei jihadisti arabi in luoghi remoti e caotici come l’Africa Subsahariana o le foreste pluviali del sud America. Non sono indigeni e le differenze culturali e religiose gli rendono difficile imparentarsi con le tribù locali, come facevano in Pakistan e Yemen.
I campi di addestramento possono anche essere in luoghi aperti, o nella giungla, ma soltanto se non si è disturbati da forze esterne: perciò per lo sviluppo di AlQueda è importante che il governo locale sia debole, oppure che non interferisca, o che sia favorevole.
In passato il jihadismo è stato spesso tollerato dai governi locali, purchè operasse soltanto all’estero. Ma dopo l’11 settembre i gruppi jihadisti hanno spesso intrapreso operazioni nei paesi di residenza. E’ accaduto in Indonesia, Arabia Saudita, Marocco, Spagna, Inghilterra, e nella penisola egiziana del Sinai.
Questi attacchi e le forti pressioni politiche da parte degli Stati Uniti hanno obbligato alcuni governi a cambiare atteggiamento nei confronti di questi gruppi. Ne è risultata una dinamica per cui un gruppo si sviluppa per un periodo limitato, attira l’attenzione su di sé con attacchi gravi, perciò viene smantellato dal governo locale, con l’aiuto di potenze straniere.
Dopo l’11 settembre i governi fanno molta attenzione a non diventare rifugio di gruppi johadisti. Questo è avvenuto dalle Filippine all’Asia centrale, dal Bangladesh al Mali e alla Mauritania.
Sta avvenendo anche in Yemen, dove forze speciali anti terrorismo hanno ottenuto risultati evidenti conto AQAP. Se lo Yemen persiste nella lotta contro AQAP, finirà come in Marocco, Arabia Saudita e Indonesia, dove i jihadisti non sono ancora del tutto sradicati, ma gli viene data la caccia, e le loro possibilità tattiche sono ridotte a poco.
Quale sarà il prossimo luogo di combattimento?
Sicuramente in Somalia, dove il governo è impotente – anche se l’ambiente non è molto sicuro per i terroristi. Le divisioni tribali e la natura frammentaria della società somala – per cui il governo non è in grado di sviluppare coesione politica sufficiente a governare – lavorerà anche contro al Shabaab e i suoi jihadisti. Inoltre la Somalia è un paese a maggioranza africana e gli Arabi o gli Asiatici non passano inosservati fra la popolazione.
Inoltre la Somalia, come lo Yemen, ha un ampio sbocco sul mare, e questo agevolerà interventi diretti degli Stati Uniti dalla oro base a Djibouti.
Dato che le aree adatte a proteggere o nascondere lo sviluppo di gruppi terroristici armati stanno drasticamente riducendosi, il terrorismo jihadista si sta esplicitamente orientando - fin dall'inizio del 2009 - alla formazione e attivazione di piccole cellule operative e di terroristi solitari, nascosti nelle grandi città.
La strategia anti-terrorismo deve ora tener conto di questa nuova realtà, e concentrarsi a trovare ed eliminare le piccole celle di jihadisti in città come Londra, Brooklyn, Karachi, e persino su internet. .
Ora che si il fallimento del jihadismo sul terreno di battaglia è ormai chiaro, c'è da aspettarsi una recrudescenza di attentati contro i centri emblematici del potere dello stato nelle grandi città del mondo - unico mezzo con cui AlQaeda può ancora mantenere visibilità e credibilità per i seguaci.
Fonte: Strategic Forecast
A cura di Emanuela Borgnino
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