22 aprile 2010
Il presidente Rafael Correa ha annunciato di voler cambiare i termini dei contratti di concessione alle aziende estere per ottenere maggiori introiti dalla produzione di petrolio. Le aziende che si opporranno alle nuove disposizioni verranno espropriate dei loro beni nel paese.
Correa - che è un economista per formazione - è sempre stato molto critico delle riforme di mercato in America Latina, ed è convinto che il potere economico debba rimanere nelle mani dello stato. Sin dal 2007 ha cercato di cambiare i contratti petroliferi:
attualmente i produttori di petrolio sono proprietari dei giacimenti. Correa vuole nazionalizzare i giacimenti, che verrebbero quindi dati in concessione a fronte di una tassa. I produttori verrebbero poi rimborsati degli investimenti già fatti e non ammortizzati.
Secondo dati ufficiali le
riserve di petrolio ecuadoregne contengono circa 6 miliardi di barili.
Il
petrolio rappresenta il 25% del PIL del paese, nonché il 68% delle esportazioni totali e il 35% delle entrate fiscali. Il greggio ecuadoregno è migliore di quello venezuelano, ma è più caro perché l’Ecuador spende molto per spedire il petrolio attraverso le Ande fino alla costa Pacifica, dove viene imbarcato. L’Ecuador ha
un altro importante giacimento da 900 milioni di barili di petrolio nella Foresta Amazzonica, ma Quito non dispone della tecnica per sfruttarlo, in quanto si tratta di greggio pesante e di difficile estrazione.
Se il governo non lascerà un margine adeguato sull’estrazione, la maggior parte delle aziende smetteranno di investire in ulteriori esplorazioni, per paura di non rientrare dei costi. E a lungo termine l’economia ecuadoregna potrebbe soffrire un calo di produzione.
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